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Giorno mondiale dell’urbanismo 1961

p. 6

Prima della creazione del Giorno Mondiale dell’Urbanismo per opera di Carlos Maria della Paolera, di cui si commemorerà il primo anniversario della morte i'8 novemIbre, gi urbanisti avevano fra di loro pochi punti di contatto. Non appartenevano alla stessa patria intellettuale. Ma dal1949 (data in cui fu adottato da tutte le nazioni del mondo) si riconosce che Carlo Maria della Paolera ha capovolto la situazione. Ciò che sembrava impossibile ieri non lo è più oggi. La trasformazione che è stata compiuta ha adattato la collaborazione dei costruttori di città alle necessità e alle esigenze dell'urbanismo.

Nei 1961, la celebrazione ufficiale del Giorno Mondiale dell'Urbanismo avrà luogo in Olanda, congiuntamente ad Amsterdam e ad Amersfoort. I rapporti, le comunicazioni ed ì messagi telegrafici dovranno essere spediti alla Municipalità di Amsterdam.

Onoranze saranno rese a Carlos Maria della Paolera, al professore Cornells van Eesteren (architetto ed urbanista di fama mondiale che ha segnato col suo marchio l'architettura e l’urbanismo di oggi) e alla gloriosa città di Amsterdam.

Alberto Sartoris

Plastica urbanistica

p. 12

L'architetto non considera più oggidì, fortunatamente, il suo lavoro di costruzione come un'opera isolata e indipendente. Si rende conto che è parte integrante della città, della regione e persino del paese.

L'urbanistica è dunque diventata una delle sue maggiori preoccupazioni. Occorre aggiungere che ingegneri, sociologhi e industriali se ne preoccupano ugualmente.

In Olanda, per esempio, questa tendenza è spiccata. D’altronde, sembra che in Europa occidentale, dove la popolazione è particolarmente densa, la ricomposizione plastica delle città sia il gran compito degli urbanisti nei prossimi anni. È chiaro che la realizzazione sarà ostacolata da diversi ostacoli, soprattutto dal problema delle comunicazioni. La situazione del traffico evoluisce infatti a una velocità prodigiosa, li traffico moderno, aggiunto ad altri elementi, fa delle città un vero inferno.

È pertanto evidente che nessun urbanista può rendere l'inferno abitabile. Però, può contribuire all’introduzione di un nuovo equilibrio biologico. Nell’Europa occidentale si pensa attualmente alle città e fabbriche « verdi », all’introduzione di quartieri e strade riservate unicamente ai pedoni, di piazzali di giuoco per i bambini, ecc.

C. van Esteren

Lo stile di Pier Luigi Nervi

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Fra i più notevoli animatori dell'architettura contemporanea, Pier Luigi Nervi non figura più cavaliere solitario. L’influenza che egli esercita sul mondo intero è cosi profonda,

che oggi egli annovera altrettanti emuli che ammiratori. In quanto all'audacia, tenuto conto della proporzione, è il più valido antagonista attuale dello spirito di Alessandro Antonelli, il massimo architetto del XIX secolo. D'altronde, come Félix Candela al quale ha servito d’esempio, egli è al tempo stesso architetto, ingegnere e costruttore. Benché la loro opera sia nettamente distinta (insistiamo ancora per situarlo chiaramente), Pier Luigi Nervi ha un punto comune con Eduardo Torrola.

Come l’eminente ingegnere spagnolo, attribuisce una importanza considerevole al ruolo impiegato dalla visione intuitiva dei sistemi statici nella creazione dell’architettura nuova. Il calcolo teorico si basa sovente su ipotesi semplificate e immaginate giustificate in seguito dalla realizzazione.

Pier Luigi Nervi scarta a priori dal suo pensiero tutto ciò che compromette dannosamente l'avvenire dell'architettura. Se egli s'impone sempre più nell'espressione formale dell’architettura futura, dipende dal fatto che egli unifica e rende solidali l'originalità della composizione, l'ispirazione tecnica, la necessità della condizione strutturale, il carattere della personalità del costruttore e la qualità dell'edificio, la bellezza plastica e lo sdoppiamento della funzione sul piano spirituale. Benché egli sia istintivo, il senso artistico e estetico non partecipa meno alle armonie imperative della scienza delle costruzioni.

Alberto Sartoris

Verso uno stile di verità?

p.45

Mi domando molte volte se tutti noi che ci occupiamo di architettura e le persone colte che se ne interessano, e la grande massa di pubblico che ne utilizza le realizzazioni, ci si renda conto di quanto sia stata radicale la rivoluzione avvenuta, in meno di cento anni, nel campo del costruire.

I protagonisti di questa rivoluzione sono parecchi e tra essi si possono citare il generale progresso tecnico e sociale e la disponibilità di nuovi materiali edilizi, ma nessuno di questi fattori o il loro stesso complesso sarebbero stati sufficienti a sconvolgere cosi completamente la forma, gli schemi e le dimensioni dei fatti architettonici, senza la scoperta, avvenuta verso la metà del secolo scorso, della Scienza delle Costruzioni.

Prima di essa lo studio statico delle opere edilizie si fondava sull'intuizione e su conoscenze empiriche.

È evidente che su basi cosi deboli malgrado gli sforzi, il coraggio e la superiore intelligenza di grandi architetti e costruttori, gli schemi statici si evolvessero con estrema lentezza; definito uno schema strutturale questo si manteneva praticamente immutato per secoli fino a che una geniale ispirazione ne trovava uno più efficiente che ripercorreva lo stesso lentissimo ciclo di sviluppo.

La grande, enorme novità, offerta dalla Scienza delle Costruzioni, è quella di permettere, attraverso l'esame aprioristico delle sollecitazioni interne di un sistema

resistente, di trovare per ogni tema costruttivo il più adatto schema statico, e quindi nuove forme architettoniche, con una ricchezza praticamente inesauribile.

Ma a mio modo di vedere c'è una seconda e meno appariscente conseguenza, di una importanza concettuale determinante.

Gli schemi statici che meglio risolvono gli imponenti problemi costruttivi proposti dal progressivo aumento dimensionale degli edifici più rappresentativi, sono quelli che più fedelmente ubbidiscono alle leggi fìsiche che regolano l’equilibrio, tra le azioni agenti e quelle resistenti, nell'interno di un organismo strutturale.

Anzi quando le dimensioni di questo superano un certo limite (al quale per molti tipi costruttivi siamo già abbastanza vicini), la più stretta ubbidienza a queste leggi diventa indiscutibile condizione di vita.

L’arco in muratura di limitate dimensioni ha potuto, nel mutare dei tempi e dei luoghi, essere disegnato e realizzato in varie forme : a tutto sesto, ad arco acuto, a sesto rialzato, a profilo polilobato e cosi via, secondo il variare dei gusti estetici o degli stili, ma il grandissimo arco di oggi e di domani, o seguirà esattamente il profilo corrispondente alla sua massima efficienza statica o non sarà. E cosi dicasi per tutti gli altri possibili schemi strutturali.

Il fatto nuovo e fondamentale è che il profilo del grandissimo arco, o lo schema strutturale atto a risolvere un imponente tema statico, non possono più essere inventati ma solamente scoperti; i loro inventori sono le leggi che regolano gli equilibri tra le forze agenti e le possibilità resistenti della materia.

E per ciò le opere relative diventeranno obiettivamente vere ed immutabili (salvo particolari più o meno significativi) nel tempo e nei luoghi Questa evoluzione verso forme vere è del resto in fase già molto avanzata in quei campi che mettono in giuoco imponenti dinamismi, quali i mezzi di trasporto veloci e particolarmente gli aerei.

Le forme dei primi, inefficienti, velivoli, dovute alla fantasia ed alla intuizione creativa dei loro inventori, erano molto varie e tra loro differenti ; oggi i grandi aerei di linea hanno unificato le loro caratteristiche formali, caratteristiche che fermo restando lo schema generale del loro funzionamento (volo dinamico, sub-sonico, per reazioni dell'aria su superfici fìsse) potranno solamente affinarsi tendendo asintoticamente verso la forma di massima efficienza, definita dai raggiunto perfetto accordo tra l’opera dell’uomo e le leggi di natura.

Se pure nel campo costruttivo l'evoluzione sarà più lenta e limitata alle sole opere di grandissime dimensioni, mi sembra lecito prevedere che la comune base di ubbidienza a leggi non umane, che in modo più o meno appariscente riunisce la purezza delle forme del grande aereo a quelle delia grandissima struttura, non potrà non creare un’atmosfera di gusto o in altre parole uno stile allo stesso modo che il contatto con popoli sconosciuti, o il ritorno al passato, o non ben definibili cause occasionali, hanno nel passato modificato e definito l'atmosfera estetica delle varie epoche.

Questo stile di aderenza a leggi naturali sarà comune a tutta l’umanità e non potrà più cambiare se non attraverso una volon231

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taria, o catastrofica, rinuncia al sempre più completo dominio della natura, meta costante degli sforzi dell'umanità dalla sua apparizione sulla terra.

Nè si deve pensare che tutto ciò porterà ad una insopportabile monotonia e all'annullamento delia personalità dei singoli o dei popoli.

Per stretti che siano i vincoli di uno stile, di una scuola o delle stesse leggi naturali, resta sempre un minimo di libertà nella definizione di particolari, di proporzioni o infine di decorazioni cromatiche, più che sufficienti a differenziare l’una realizzazione dalle sue consimili.

Se queste osservazioni sono valide, noi assistiamo al più grandioso fenomeno che sia mai avvenuto nello sviluppo della cultura umana: la nascita di uno stile comune a tutta l'umanità, definito da capisaldi ancorati a legge di natura e che pertanto non potrà più subire involuzioni, ma solo evolversi in un progressivo avvicinamento a verità immutabili.

Pier Luigi Nervi

Italia 61 Piano urbanistico generale

p. 46

architetto Nello Renacco Il Piano generale delle Mostre a Millefonti chiedeva all'architetto urbanista la risposta a due fondamentali esigenze : la prima, di fissare, sin dai primi studi, l’ubicazione delle due grandi Mostre — Esposizione Internazionale del Lavoro e Mostra delle Regioni — onde consentire, senza remora, dato II limitatissimo margine di tempo, l’elaborazione dei progetti e l'esecuzione dei relativi lavori; la seconda, quella di conferire al « Piano » un certo grado di elasticità, per poter soddisfare le mutevoli esigenze che via via si sarebbero certamente profilate.

La zona scelta dal Comitato Promotore, come Comprensorio delle Mostre, è situata all'estremo lembo sud del territorio amministrativo della città. Di forma trapezoidale, era suddivisa nel senso longitudinale da una grande arteria di penetrazione alla città (Corso Unità d'Italia) che occorreva rispettare.

Infine bisognava tener conto che proprio nella zona baricentrica del Comprensorio stava sorgendo li grosso «Palazzo delle Mostre » della Società Torino Esposizioni, la cui ubicazione, progettazione e costruzione ha sempre seguito un iter indipendente dal resto delle Mostre, senza alcuna possibilità di controllo o guida.

La presenza della grande arteria di penetrazione, già in piena efficienza e l'innesto perpendicolare ad essa di un corso in parte già realizzato (Corso Caduti sul Lavoro) suddividevano il vasto Comprensorio di circa 500 000 mq. in tre zone: Quella a sud-ovest fu scelta per ospitare il Palazzo dell Esposizione Internazionale del Lavoro poiché era questa Punica zona che per dimensioni e forma poteva offrire un adeguato spazio di rispetto quale quello che l'opera prevista esigeva.

Lo spazio compreso tra il nuovo Palazzo delle Mostre e il Palazzo dell'Esposizione Internazionale del Lavoro fu, in un primo 232

tempo, destinato ad ospitare una serie di Padiglioni degli Stati Esteri, in seguito non realizzati. Oggi essa ospita il « Circarama » e il Padiglione del Ministero del Lavoro.

Ad una grande esposizione, quale quella che si stava predisponendo, occorreva poi tutta una vasta serie di Servizi Generali.

Emersa così l'esigenza di provvedervi mediante un idoneo complesso edilizio di ragguardevole capienza. La zona seconda più idonea non poteva essere che quella lambita dai due traffici provenienti dagli ingressi nord e ovest.

L'interessante e accogliente complesso fu realizzato su progetto degli architetti Nicola, Rizzotti, Romano.

Infine, il tratto di corso Caduti sul Lavoro, interno ai Comprensorio, non si poteva pensarlo come un semplice slargo bitumato a ridosso dell'ingresso ovest: sulla zona centrale di spartitraffico (che tale resterà anche a Mostre concluse) gli architetti Varaldo e Zuccotti hanno realizzato un suggestivo movimento d’acqua articolato in una sobria struttura architettonica.

Sul tema dell’acqua occorre ancora ricordare l'insieme dei laghi, che, interrompendo le vaste zone erbose, potevano rappresentare, insieme alla maglia delle strade trasversali, gli elementi di cucitura tra zone est e ovest di Corso Unità d'Italia, e, specie di sera, costituire un elemento scenografico di notevole interesse fondato sui riflessi multicolori dei Padiglioni delle Mostre.

Al raggiungimento di tale fine, tutta l'illuminazione del Parco fu pensata in tono sommesso, In contrapposizione alla sfarzosità di luci del Corso Unità d'Italia, e dei Padiglioni.

Tutte le zone non occupate da edifici furono sistemate a verde con la messa a dimora di circa 4000 alberi di essenze diverse, alcuni di notevoli dimensioni.

Mostra delle Regioni architetto Nello Renacco Alla Mostra delle Regioni fu riservata la terza grande zona compresa tra il corso Unità d'Italia, l’ansa del torrente Sangone e la sponda sinistra del fiume Po.

Un terreno irregolare di circa 150 000 mq.

inserito in uno scenario di straordinaria suggestione paesistica, ma, fino alla primavera del 1960, lasciato in completo abbandono; un'area ricca solo di avvallamenti e sterpaglie, interrotte a caso da un singolare gruppo di altissimi pioppi.

Per una tale Mostra si doveva anzitutto pensare ad una struttura' edilizia adatta ad accogliere la rappresentazione dei diversi temi assegnati ad ogni singola regione. Bisognava inoltre predisporre un padiglione destinato ad illustrare la storia dei primi cento anni dell'Unità d'Italia.

Infine si doveva risolvere, in un ambiente esterno, l’armonica convivenza di questo Complesso Edilizio con i due grandi edifìci dell’Esposizione del Lavoro e del Palazzo delle Mostre.

ì Le soluzioni possibili potevano essere raggruppate in due grandi classi : un'ennesima concessione ai tipico complesso per esposizioni, di dimensioni gigantesche, impressionante per la potenza dei suoi volumi, ma, in ultima analisi, angosciosamente

incombente sul visitatore, proprio per quel suo erigersi in scala così lontana da quella umana; oppure una successione di elementi architettonici moderati, ciascuno assegnato ad una Regione, in uno svolgimento ritmico e non discontinuo che, pur rispettando le necessarie separazioni, evitasse il pericolo di una manifestazione episodica a carattere folcloristico.

In questo senso è stato realizzato l'attuale complesso architettonico e si crede di avere così risposto anche a quell'esigenza cui si accennava prima, di convivenza dei diversi blocchi edilizi in un unico insieme paesistico-ambientale.

La Mostra delle Regioni si articola in una successione di gruppi di Padiglioni impostati nella forma geometrica più semplice: il quadrato; articolati in un sistema modulare a maglia quadrata di mt. 8 di lato; realizzati nei materiali adatti piuttosto ad inserirsi nell'ambiente naturale, che fa fargli violenza : strutture metalliche e vetro.

È un alternarsi di spazi esterni ed Interni, attraverso i quali l'architettura, nella sua realizzazione organica, consentiva agli architetti delle singole Regioni (ciascuna Regione disponeva di una equipe di architetti) la massima libertà d’espressione nell'allestimento dei temi assegnati.

Meglio sarebbe stato ovviamente definire prima i « contenuti » dei temi regionali e successivamente predisporre le strutture adatte ad accoglierli.

Nonostante l’inversione del metodo, dovuta ad inderogabili esigenze di rispetto dei tempi di approntamento, ma grazie ad un immane sforzo di coordinamento, si è potuto rispettare un certo sincronismo fra i due « momenti » che se proprio non ha del tutto eliminato la dissociazione architettonica ha però consentito di ridurla in termini accettabili.

Si pensa in tal modo di aver offerto ai visitatori la distensione di una « passeggiata » dalla Regione Trentina alla Sicilia, in una successione di interni che tendono ad attenuarsi e sfumare in esterni riproducenti, per quanto possibile, i paesaggi propri di ogni singola Regione.

I diversi Padiglioni costituiscono infatti una alternanza di quinte inquadranti squarci di collina, boschi e tratti di fiume, mentre le pensiline che li collegano (sopraelevate per non interferire con il traffico veicolare sottostante) scorrono, a tratti, immerse nel verde degli alberi ad alto fusto volutamente salvati ed opportunamente integrati nella impostazione urbanistica.

La Mostra si svolge prevalentemente al primo piano dei Padiglioni ; il piano terreno è stato riservato ai servizi, alle attrezzature di sosta, di svago e di ristoro fra di loro collegati da strade pedonali.

I Padiglioni Regionali si concludono Con il Padiglione Unitario che ha per tema espositivo, personalmente curato da Mario Soldati e allestito dall’architetto Carboni, « I primi cento anni di Unità ».

L'architettura del Padiglione è stata concepita dall'architetto Carlo Casati, organicamente con la suddivisione tematica dell’allestimento, e per questo II complesso è articolato in tre elementi che comprendono le tre grandi zone della Mostra ed hanno forme e volumi diversi, ottenuti col gioco delle naturali differenze di livellq del terreno.

Le autostrade

p. so

Uno dei principali errori dei secoli diciannovesimo e ventesimo è stato il rifiuto di ammettere l'importanza e l’urgenza di una rete stradale studiata appositamente per quelle nuove venute che erano le automobili. Quali furono i motivi di questa attitudine, adottata in parecchi paesi, soprattutto nei più antichi e più tradizionalisti? Il principale ebbe per causa l'automobile stessa. Nata dal matrimonio delle antiche vetture a cavalli con le caldaie delle strade ferrate, allora in voga, l'automobile dovette accontentarsi delle strade utilizzate precedentemente dalle diligenze. Apparentemente, la differenza era semplice : trazione meccanica invece di trazione animale.

Ma questa differenza ha invece modificato in meno di una generazione umana i dati del problema.

Oggidì, quasi tutti i paesi del mondo si sforzano di colmare il ritardo dotando l'automobile dei mezzi di circolazione ai quali essa ha diritto. I vantaggi delle autostrade sono: traffico più fluido, maggior sicurezza, economia di tempo e denaro.

In Europa, la Germania e anzitutto l’Italia si sono distaccate con delle costruzioni che modificanoeimbelliscono il paesaggio.

Possiamo chiederci se le autostrade, con i loro ponti grandiosi e le loro lunghe gallerie, non saranno considerate nei secoli futuri come la testimonianza principale della nostra civilizzazione, esattamente come lo sono state le cattedrali per il medioevo.

H. F. Berchet

da tiro e da soma, hanno realizzato uno sforzo prodigioso. La sola costruzione delle terrazze sulle quali si elevano le loro opere è una performanza. Quella del « Palazzo del Governatore », per esempio, totalizza mezzo milione di materiali !

Però, in merito ai metodi architettonici, disponevano di mezzi semplicissimi. La volta e la cupola erano sconosciute. Solo la falsa volta è utilizzata. Ecco il motivo dell'assenza di vasti spazi interni. I tempi sono stati edificati con mortaio e ricoperti di decorazioni calcaree scultate. Tutto è diretto verso l'esterno. Le facciate, ammirabilmente proporzionate, scintillano nella luce tropicale. Segnaliamo pertanto l'uso, abbastanza raro, di colonne che fanno pensare a una specie di stile dorico primitivo.

I gruppi sono giganteschi e concepiti secondo le regole di un urbanismo liberamente’articolato e orientato costantemente nello stesso modo. A Uxmal, non vi sono meno di quindici gruppi di costruzioni, ripartiti? su [settanta ettari. Questa architettura esclusivamente religiosa, alla quale era riservato l’uso della pietra, si oppone alle capanne di terra battuta ricoperte di stoppia, nelle quali vivevano i Mayas di ogni rango e le cui forme si ritrovano tuttora nei villaggi del Yucatan.

Henri Stlerlin

Dentro e fuori il guscio delle forme pure La città sacre della foresta vergine del Yucatan

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Delle civiltà che hanno dato all’umanità il suo ornamento di creazioni architetturali, quella dei Mayas ha avuto un ruolo capitale. Le opere nate fra il 320 e il 1160 della nostra era nella foresta vergine del Yucatan sono migliaia. Essendo state abbandonate prima dell’arrivo degli Europei, non hanno subito le depredazioni delle conquiste e delle guerre. La vegetazione tropicale ne ha soltanto disgiunto le mura e rotto le scale, di modo che gli archeologhi possono ricostituire l’Insieme con relativa facilità.

Fra i monumenti più rimarchevoli, occorre distinguire due categorie di edifici : i tempi e le piramidi. Queste ultime, con le loro ripide scale, hanno un'altezza di 35 a 40 metri e portano incima un santuario. I tempi, battezzati spesso « palazzi » o « conventi », sono caratterizzati dalle loro linee orizzontali. Le piramidi sono costruite su terrazze dominanti un paese assolutamente piano; le loro porte sono quadrate e surmontate da fregi a motivi geometrici. Occorre notare l’assenza di linee curve, se eccettuiamo il « Caraeoi » di Chichen-ltza, unico edificio circolare del Yucatan maya. Doveva essere un osservatorio astronomico e contemporaneamente un tempio del vento.

Dai punto di vista tecnico, i Mayas, che non conoscevano nè la ruota nè gli animali

p. 66

Un geometra legge nelle equazioni quello che noi leggiamo sulle figure. Un geometra sa che una differenza di scrittura si tramuta in una caratterizzazione somatica della forma. Le nostre cognizioni elementari fondate sulla possibilità di costruire con squadra e compasso (nella “autobiografia " di Einstein si legge una commovente esaltazione di questo strumento miracoloso capitatogli all’età di cinque anni nelle mani), non ci portano al di là della risoluzione di problemi semplici di 1° e 2° grado. A malapena riusciamo a costruire un'ellisse o in'iperbole o un poligono di cinque lati. Non possiamo, per esempio, geometricamente dividere un angolo in tré parti uguali (trisezione dell’angolo), neppure trovare il lato di un cubo che abbia il volume doppio di un altro cubo assegnato (problema di Deio, risolto da Platone). Per esprimermi con un termine stilistico potrei dire che l'umanità d’oggi è ancora ferma, nella stragrande maggioranza, a una cognizione neoclassica della geometria, a una cognizione euclidea. Del resto si trova ancora in buona compagnia con Leonardo da Vinci e perfino con Cartesio e Galileo. Ma è innegabile che le nostre conoscenze geometriche sono veramente rudimentali.

Ne sappiamo poco più di una formica o di un cavallo, e certamente meno di una chiocciola. Nella matematica alta, assitiamo a una prolificazione di forme che potremmo dire viventi, e le cui singolarità,

accidentalità, cavità, risucchi e sporgenze, fanno pensare a superfìci di assestamento geologico, a gusci organici, a meteoriti, a madrepore o rettili stellari o minerali.

Nel documentario presentato a Venezia dodici anni fa, “ Una lezione di geometria ”, c’era implicita una proposta che sinceramente non ha trovato ancora le accoglienze che io speravo. Quale utilizzazione può fare la nostra cultura di queste forme superiori? lo mi rivolgo specialmente agli architetti e ai disegnatori di macchine e di oggetti utili. Mi pare che la spinta verso un plasticismo matematico, di contenuto quasi trascendentale, potrebbe giovare contro la brutalità di uno standard incontrollato e casuale. Tanto più che la ricchezza di questi prototipi è veramente inesauribile, e inesauribile è l'impiego che ne fa la natura, dai semi ai frutti, dalle uova ai sassi, alle conchiglie. Quando Einstein parlava di spazi curvi quadridimensionali (e che, purtroppo, da un lato, restano per noi Invisibili), sottintendeva da parte nostra una partecipazione che non potrà mai manifestarsi se prima non sia stata sollecitata un'attitudine in noi a benefidare di questi messaggi e di questi stimoli della nuove geometria barocca, lo so che la precisione ci sta giocando un brutto tiro, e che a furia di analisi finiremo col confondere il diamante col carbone, le rose con gli esplosivi. La nostra innocenza è messa a dura prova dalle suggestioni infinitesimali; il demone dell'analogia continua a farci perdere la testa.

C'è una direttrice comune a tante ricerche moderne. C'è una cultura, c'è un metodo nuovo, c'è una nuova realtà, e noi la possiamo intravvedere In un modello atomico ed in una tavola di Klee, in un piatto di Picasso e nelle zebrature isocromatiche di un disco sollecitado da quattro forze uguali a due a due e diametralmente opposte. La Scienza e la Technics ci offrono ogni giorno nuovi ideogrammi, nuovi simboli, ai quali non possiamo rimanere estranei o indifferenti, senza il rischio di una mummificazione o di una fossilizzazione totale della nostra coscienza e della nostra vita. L'uomo nuovo che è nato dalle equazioni di Einstein e dalle ricerche di Kandinsky è forse una speda di insetto che ha rinunciato a molti postulati: è un insetto chez sembra incredibilmente sprovvisto di istinto di conservazione.

La nostra cultura sembra aver rinunziato alle grandi costruzioni cosmogoni he che fecero la superbia degli Avi e dei Padri : sembra che attinga il suo slancio nelle possibilità di frattura delle solenni Forme di un tempo, sembra che aggiunga fremito alle morte e sacre Sostanze, sembra aver ritrovato l'Anima del mondo in un sistema di forze, di scintille, di scariche. Non è la coscienza del numero, del “ quantum ", è una coscienza vettoriale, direzionale, che al numero, oltre un “ più ” o un " meno ”, ha aggiunto una direzione, una freccia: ha creato un'onda.

Si potrebbe dire che l’uomo di oggi ha guardato tra le crepe degli splendidi edifìci in rovina, anziché fermarsi a contemplarne la Bellezza e l’Armonia. E in verità constatiamo che è molto faticoso per noi farci un'idea dell'Unità: non possiamo che ricomporla dai cocci del Molteplice.

Gli strumenti che la nostra era sì è costruiti sono tali, tuttavia, da garantirci che non

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un acino di polvere o di polline può andare perduto. Ma che cosa sono questi strumenti a questi mezzi meravigliosi che hanno smisuratamente allargato il potere delle nostre pupille? Microscopi, ultramicroscopi, polarizzatori, microscopio elettronico, ultrasuoni, oscillatori elettronici, ultravioletti, raggi X, ciclotroni, sincrotoni ecc. sono le tante similitudini di un’onda, sono le metamorfosi di un raggio, sono le luci plurime che ci servono nella nostra diffìcile esplorazione. Che la retorica e il buon senso possano trascurare queste meraviglie, queste conquiste, può essere perfino comprensibile. Ma sarebbe una grave sciagura se di queste ipotesi si disinteressassero i Poeti.

L’arte deve conservare il controllo della verità, e la verità dei nostri tempi è di una qualità sottile, è una verità che è di natura sfuggente, probabile più che certa, una verità “ al limite " che sconfina nelle ragioni ultime, dove il calcolo serve fino a un certo punto e soccorre una illuminazione, unafolgorazioneimprovvisa. Scienza e Poesia non possono camminare su strade divergenti. I Poeti non devono aver sospetto di contaminazione. Lucrezio, Dante e Goethe attinsero abbondantemente alia cultura scientifica e filosofica dei loro tempi senza intorpidare la loro vena.

Piero della Francesca, Leonardo e Durer, Cardano e Della Porta e Galileo hanno sempre beneficiato di una simbiosi fruttuosissima tra la logica e la fantasia.

Leonardo Sinisgalli

Architettura per interni Sintesi o disintegrazione?

p.70

L'arredamento degli interni evoluisce simultaneamente all'architettura, della quale è il complemento indissolubile.

È necessario che vi sia unità fra l’esterno e l'interno. Non devono esistere due operazioni architetturali distinte, una all'esterno e l'altra all'interno. L’architettura per interni ha, anch'essa, evoluito terribilmente durante gli ultimi anni. È stata influenzata dal movimento « de Stijl » olandese, dal « Bauhaus » di Weimar, dalle idee del Corbusier — che fu influenzato a sua volta, è utile ricordarlo, dal pittore Ozenfant — dai gessi di Picasso. L'importanza della geometria è inoltre grande oggidì.

Ma, contemporaneamente alle forme, anche la policromia ha trovato una nuova applicazione. I colori si dirigono verso l’armonia quando devono procacciare quiete e riposo, verso effetti di contrasto quando l’ambiente lo esige. La trasparenza delle pareti di vetro prolunga l'interno verso l'esterno e viceversa.

Attualmente, la sintesi delle arti appare come la meta verso la quale occorre dirigersi. Ma l'elaborazione di questa sintesi è opera di lunga lena e nulla ci permette di concludere che siamo già giunti a quella concentrazione delle belle arti che esiste nei palazzi e nelle chiese del Rinascimento, italiano, nei castelli delle grandi epoche

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francesi o ancora, precedentemente, nelle cattedrali gotiche, nei tempi greci e negli edifìci egizi, assiri e persiani.

H. Robert Von der Mûhll

Mondrian e l'idea dell'architettura

p. 83

L'architettura è un incrocio dove si incontrano tutte le arti.

Eppure, quanti architetti meritano veramente di essere cosi chiamati? Ieri, vi erano fra loro molti modellatori, oggi ve ne sono molti che non sono null'altro che tecnici della costruzione I Il primo uomo che ha avuto piena coscienza dell'arte architetturale e che lo ha espresso in termini semplici e chiari è stato Mondrian. Ha cominciato con Theo van Doesburg creando la rivista « De Stijl », dopo essere stato un pittore di paesaggi olandesi e dopo di aver evoluto durante la sua prima epoca parigina.

Mondrian non parlava volontieri delle sue letture. Però, è stato lui che mi ha incitato a leggere Schoenmaekers. Infatti, Schoenmaekers lo ha incitato In certo qual modo a scrivere e a creare, insieme con van Doesburg, il neo-plasticìsmo.

So che Mondrian stimava Bergson e il matematico Henri Poincaré. D’altronde, alcuni brani di quest’ultimo sono molto vicini del pensiero di Mondrian. Devo ripetere che l’essenziale di queste idee è la nozione di rapporto o di relazione?

E che il rapporto più puro è l’angolo retto, chiamato da Mondrian « il fermo appoggio » ?

Sappiamo tutti quali sviluppi hanno avuto queste idee con il Corbusier e con Mies van der Rohe.

Nella visione di Mondrian il neo-plasticismo, ordine nuovo dell’architettura, doveva identificarsi alla vita stessa. Perchè no? I filosofi non parlano forse di un'arte di vivere? Non esiste forse un'architettura del sentimento?

Michel Seuphor

Olle Baertling

p. 85

Più ancora che per le aspirazioni smisurate della sua personalità e per la rappresentazione di ciò che si ostina a non voler essere rivelato, Olle Baertling è costantemente sollecitato dall’arte del monumento. Come nella sua pittura sonora e luminosa, che nelle sue sculture senza dimensioni e senza fine, manifesta l'estrema efficacia d'un impulso alla ricerca dell'infinito. Nelle sue pitture taglienti e folgoranti (lampi di colore che sembrano lacerare lo spazio e l'incarnato di un cielo metallizzato), come nelle sue sculture mobili, rettilinee, ascensionali, aeree e flottanti (prolungamenti infiniti senza peso, senza misura e quasi senza presenza fisica), mai l’una tradisce l’altra, mai l'incommensurabile fa astrazione dal monumentale.

Alberto Sartoria