Traduzioni italiane 4

dell'arte per l’arte? Musica surgelata?

Istinto atavico di nascondersi? Rincarnazione delle immagini storiche? Una proiezione fìsica delle forze sociali?

Marcel Breuer L’architettura al di là della visione (Pagina 30)

Gli scopi dell’architettura

(Pagina6)

L’architettura sta oggidì trasformandosi.

Importa quindi distinguere le nuove tendenze dovute a delle considerazioni di modernismo da quelle prodotte dalla ricerca di creazione.

Si dice volontieri che quando una sedia è bella è anche confortevole. L'asserzione è discutibile. La sedia di Mies Van der Rohe è certamente comoda e ben disegnata nello stesso tempo, ma questa simultaneità non si trova dappertutto. Anche se l'occhio corrisponde a un senso privilegiato, non dobbiamo trascurare gli altri sensi.

Le tendenze asimmetriche dell’architettura del 1962 sono anziane, dato che il periodo rivoluzionario del 1920 le aveva già adottate.

Però, dieci anni dopo l'asimmetria ad ogni costo era sorpassata. Anche l'individualismo deve essere disciplinato ; per esempio, sarebbe inconcepibile disegnare ogni edifìcio di una città come una composizione indipendente.

Molti pensano che l’architettura odierna dovrebbe essere radicalmente sconvolta e che, per esempio, le mura di vetro sono ormai arcaiche. Certo che la trasparenza, il collegamento dell’interno con l’esterno possono essere realizzati con il vetro, ma vi sono altre possibilità.

Non dimentichiamo infine che i bisogni funzionali non sono soltanto fìsici, ma pure umani. La casa non è forse qualcosa di più che un luogo d’abitazione? Allorché una fabbrica può rassomigliare a una catena di produzione, un laboratorio è ben differente. D'altra parte, se un locale di deposito deve essere funzionale, perchè una chiesa o un museo non dovrebbero esserlo?

È evidente che mentre i mille uffici di una grande amministrazione saranno simili (gli utenti devono essere capaci di dar loro un carattere individuale), la cappella eretta in cima ad una montagna sarà un'espressione particolare. Individualità e disciplina non rappresentano degli estremi in architettura; sono spesso complementi in una personalità, in un’opera. L’architettura deve avere una base universale, poiché le costruzioni sopravvivono agli uomini. Costruire è una passione. In quanto allo scopo dell'architettura, deve andare più lontano che la forma pura, che l'utilizzazione pura, che il tetto sopra le nostre teste, che un prodotto sul mercato.

Come fare per condensare questo scopo in una sola frase? L'arte dello spazio?

L'espressione della tecnologia moderna?

Un diagramma vetro-mattone-acciaio dei bisogni umani? La scultura accoppiata ad una funzione? Una struttura basata sulla economia e sulla logica? Un opportunismo per la brutalità nuova o anziana? L’eleganza

Il fotografo riesce a fornirci un documento che può sostituire l'osservazione diretta.

Però, l'architettura non può essere afferrata integralmente daM'oggettivo, già per ragioni psicologiche, ma anche perchè è un fatto storico, un evento locale che può essere apprezzato soltanto in un certo ambiente.

In altre parole, gli effetti dell’architettura non possono essere giudicati dall'occhio soltanto.

L’architetto deve osservare, studiare attentamente le condizioni attuali della vita.

Ognuno di noi ha abitato durante nove mesi nei migliore alloggio del mondo, il seno della propria madre, luogo meravigliosamente climatizzato, dove ci trovavamo sospesi senza aver bisogno di battere le suole delle scarpe contro un suolo duro e spesso antipatico. Sarebbe splendido se gli architetti potessero in certo qual modo restituirci delle condizioni simili.

L'anima non è separata dal corpo. Secondo me, il problema dell’architettura è quindi di carattere psicosomatico.

L’architettura integrata nel paesaggio è per l'anima come un porto che permette uno sprazzo sull'universo. Ogni edifìcio, chiesa, scuola o abitazione, deve essere concepito come una porzione della scena universale, il desiderio di essere proprietario di una casa è il mobile di tutti coloro che ricorrono all'architetto; è la passione più profonda dell’uomo. È per questo che anche il veterano abituato a creare palazzi giganteschi e a trattare con consigli di amministrazione, comitati, autorità, politiche, ecc.

non deve rinunciare a disegnare progetti di abitazioni individuali. A me, per esempio, piace contemplare il viso delle persone che espongono i loro desideri, i loro timori, le loro difficoltà.

Più del dentista e del medico, l’architetto è il guardiano degli interessi personali, l'uomo che guarisce, il benefattore del suo prossimo.

La comprensione, la simpatia e le conoscenze dell'architetto lo rendono capace di essere al servizio degli uomini, delle donne e dei bambini, di questi ultimi soprattutto, dato che formano la generazione di domani, quella che i nostri occhi non riescono ancora ad afferrare.

Richard J. Neutra Il nuovo programma delle ambasciate degli U.S.A. (Pagina 32) Gli Stati Uniti stanno attualmente realizzando un programma di costruzione di ambasciate in più di trenta paesi. I nuovi immobili sono interessanti, dato che da un lato rappresentano in certo qual modo la grande nazione americana, dall’altro devono rispettare le tradizioni architetturali locali.

Il Dipartimento di Stato dirige il programma.

Collabora con un gruppo di eminenti architetti e diplomatici, fra i quali si trovano Walter Gropius, Richard Neutra, Eero Saarinen, Jose Luis Sert, Edward Stone.

Ogni architetto è stato invitato a visitare i luoghi dove sorgeranno i palazzi e a esaminarne la situazione, a sforzarsi di capire gli indigeni e le loro usanze, a studiare l'importanza storica dei dintorni. Queste visite hanno permesso di creare progetti in armonia con la cultura locale.

Prima di disegnare l'ambasciata della Nuova Delhi, Edward Stone cercò l'ispirazione al Taj Mahal, poi studiò i dettagli e i colori delle stoffe indiane.

La casa di un capo tribù africano suggerì all'architetto di Chicago Harry Weere i motivi dell’ambasciata di Accra. Infatti, Weere vide una fotografìa della casa durante il suo soggiorno nel Ghana e ne riprodusse i fioroni di argilla lanceolati nelle linee delle colonne che portano la piattaforma e il tetto dell’ambasciata.

John Carl Warnecke, architetto dell'ambasciata di Bangkok, viaggiò a lungo in Estremo Oriente per studiare l’arte asiatica. Visitando Bangkok, ebbe l’occasione di assistere ad un’antica cerimonia Thai. I partecipanti ricevettero ciascuno un paniere pieno di gelsomino, di orchidee selvatiche e di gardenie, completato da un bastoncino d’incenso e da una candela. I panieri furono deposti sull'acqua del canale e sparirono lentamente alla luce della luna. Warnecke fu talmente impressionato che si sforzò di ricreare l’atmosfera della cerimonia nel suo disegno di una struttuta che sembra galleggiare sulla superfìcie di un lago in forma di loto.

Le ricerche fatte sul posto non hanno soltanto prodotto idee, ma anche permesso l’accoppiamento armonioso delle costruzioni con i dintorni.

Francis Lethbridge pensò che il colore poteva essere la chiave della riuscita e creò uno stabile commerciale a Lima nel Perù in toni che ricordano i caldi coloriti delia terra della città e del vicino deserto.

Eero Saarinen doveva risolvere un altro problema: creare un disegno contemporaneo, ma che si armonizzi con l’epoca Giorgio V a Grosvenor Square. Trovò la risposta con una facciata a grate di cemento precostretto che si attaccano al suolo pure di cemento. Il ritmo, la simmetria e lafacciata ricordano dunque il diciottesimo secolo, la struttura invece l'epoca moderna. Il « London Time » ha qualificato il palazzo di acquisto benvenuto per Mayfair, che sta trasformandosi.

Ma gii architetti non si sono lasciati legare dalle tradizioni locali. Walter Gropius, incaricato di creare il progetto dell’ambasciata di Atene, era cosciente del pericolo e scrisse: «Edificato a Atene sul pendio del monte Lykabettos, l'immobile deve esprimere io spirito classico dei luoghi, però in una lingua architetturale contemporanea. È per questo che malgrado il patio di forma antica e le colonnate interne e esterne, gli elementi della costruzione sono di carattere moderno. » Richard Neutra ritornò dal suo viaggio nel Pakistan convinto che il miglior modo di provare la sua ammirazione per un paese nuovo è, per l’architetto, la costruzione del palazzo più moderno che egli sia capace di disegnare (ambasciata di Karachi).

«Tuttavia — scrisse — abbiamo scelto

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forme che ci sembrano associarsi con armonia alla regione. » Accordando agli architetti la libertà più completa, il Dipartimento di Stato ha permesso la costruzione d’immobili che rappresentano tutte le tendenze architetturali odierne. L’ambasciata di Neutra esprime la sua fede nel disegno funzionale, quella di Minoru Yamasaki (consolato di Kobe) dice invece la sua convinzione che gli architetti devono occuparsi soltanto della beltà per sè stessa. Il Giapponese ha dato ai palazzi e giardini l'unità visuale, caratteristica della migliore architettura del suo paese.

Insistendo affinchè gli architetti si familiarizzino con le arti locali, il Dipartimento di Stato ha reso un gran servizio all'architettura americana. Le costruzioni degli Stati Uniti si sono già arricchite d'idee importate in questa occasione. Gli Americani possono dunque sperare vedere bellezze architetturali più numerose, emananti da moltiplici tradizioni culturali.

Jean Tschumi, 1904-1962

(Pagina44)

Jean Tschumi studiò a Parigi alla scuola delle Belle Arti, nella celebre classe del vecchio maestro Pontremoli, che formò alcuni dei più brillanti architetti francesi dell'epoca. Nel 1934, Tschumi aprì il suo studio a Parigi. In quei tempi diffìcili, dovette anche lui dedicarsi a ciò che i Francesi chiamano la decorazione, ossia l'architettura per interni. Lavorò con Ruhimann prima di diventare direttore artistico della casa Edgar Brandt.

Si occupava però già fin d'allora di urbanismo e, nel 1937, ricevette una ricompensa per un'analisi della circolazione sotteranea di Parigi. Partecipò a concorsi, diede conferenze, scrisse qualche articolo, ma possiamo dire senz'altro che nel 1938, questo architetto di 44 anni non aveva ancora costruito nulla.

La rivelazione fu l’immobile dei laboratori Sandoz a Orléans (1949-1952). il concetto è chiaro, la composizione classica, la struttura affermata, i materiali sono utilizzati logicamente e la forma traduce le funzioni. Una personalità vigorosa appare attraverso il ritmo, le proporzioni, i profili.

Il palazzo amministrativo della Mutua Vodese Infortuni a Losanna (1952-1955) confermò le qualità dell’architetto. Senza perdere il vigore di quello di Orléans, l'edifìcio di Losanna ha più flessibilità, libertà, leggerezza nelle proporzioni e eleganza nei profili e nella modanatura. Qui appare la volontà di adattamento ai luoghi, di unione intima con la natura e dell'inclusione della vegetazione nella composizione. Certo il sito è eccezionale, ma il costruttore ha saputo approfittarne. Straordinario era il senso dei dettagli di Jean Tschumi, che si occupò personalmente di particolari che nove architetti su dieci lasciano ai loro collaboratori.

Nel 1952, Tschumi fu scelto, dopo concorso, come architetto dell'edifìcio che doveva essere e sarà forse un giorno l'ospedale svizzero di Parigi. Lavorò fino alia sua morte ai progetti, continuamente modificati dato i cambiamenti successivi di terreno, di programma, ecc.

Fu il palazzo amministrativo della direzione mondiale della Nestlé a Vevey che consacrò Jean Tschumi quale uno dei primi architetti della sua generazione. Le caratteristiche sono le stesse che a Losanna, ma il costruttore ha fatto un nuovo passo innanzi. Non è veramente « geniale ». D’altronde, l’ambizione di Tschumi non è la ricerca delia originalità, della novità ad ogni costo, dello sbalorditivo, dell'effetto plastico inedito, ma della perfezione. Pur considerando che l’espressione plastica è essenziale, non cerca mai di ottenerla con un sacrifìcio funzionale. Con raro coraggio morale, egli resiste alla tentazione di produrre opere di ricerca plastica, sempre effìmere, perchè ben presto fuori moda. Jean Tschumi ricevette nel 1960 il premio Reynolds di 25 000 dollari per l’edifìcio di Vevey. Nello stesso tempo, la giuria internazionale del concorso relativo alla costruzione della nuova sede dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Salute) a Ginevra scelse all’unanimità il suo progetto fra i disegni presentati da quindici architetti di riputazione mondiale, fra i quali Saarinen, Kenzo Tange, Arno Jacobsen, A. Reidy.

Fra gli altri progetti praticamente terminati alla morte dell'autore, citiamo quello della SOPAD a Parigi e la famosa torre di Losanna. Inoltre, la nuova aula della Scuola politecnica di questa città mostra che Tschumi era anche capace di creare opere audaci.

Jean Tschumi fu durante molti anni professore di architettura alla Scuola politecnica di Losanna e presidente, dal 1953 al 1957, dell'Unione Internazionale degli Architetti.

Alcuni potrebbero rilevare che Tschumi ebbe la grande fortuna di lavorare per una clientela scelta, che mise a sua disposizione mezzi finanziari che molti architetti purtroppo non hanno. Tschumi ne conveniva volontieri. Occorre però ricordare che egli aveva un grande potere di persuasione e l'arte di ispirare fiducia ai suoi commettenti, i quali non sono inoltre mai stati delusi dai risultati.

Ora che Tschumi è scomparso nella forza dell'età, posso aggiungere che le qualità che ho descritte in questo articolo in merito all’architetto si aplicavano anche all’uomo.

Coscienzioso fino allo scrupolo, onesto, diritto e nello stesso tempo ardente, entusiasta, sensibile e un po' timido, egli amava soprattutto il suo mestiere. Non vi è dubbio che l'architettura era il suo primo motivo di vivere. Ad essa tutto subordinò e talvolta sacrificò.

Pierre Vago L’opera di Le Ricolais

(Pagina 68)

I risultati di un'opera scientifica possono essere riassunti in poche parole e il lavoro di Le Ricolais è senza dubbio scientifico.

Di che cosa si tratta? Essenzialmente della nozione di forma e della nozione di spazio.

Le Ricolais ha osservato le forme naturali, per esempio quelle di certi protozoi acquatici, che gli permisero di precisare alcune basi matematiche. Monge (1746-1818) considerava la forma come la frontiera di un corpo, mentre Gauss (1777-1855) vedeva la superfìcie dei corpi solidi come entità matematica dotata di proprietà intrinseche. Le Ricolais praticava il ramo delle scienze matematiche chiamato topologia, che è lo

sviluppo dell'antica «analisis situs ». Nella topologia la nozione di misura importa molto meno dell'essenza stessa della forma.

La nozione di spazio viene dissociata da quella di forma.

È chiaro che se si ammette che le forme naturali possono essere oggetto di studi sperimentali, il campo investigativo diventa infinito. Nel 1957, Le Ricolais riprese alla università di Pensilvania un'esperienza ben conosciuta dai fìsici: lo studio del film di sapone.

Il metodo d’insegnamento di Le Ricolais è basato sulla costruzione di modelli.

Trattasi di creare modelli a strutture tese in filo d’acciaio, che presentano una continuità nelle forme. Esempio: la costruzione di un radar di grandi dimensioni. Naturalmente, dei lavori simili necessitano un equipaggiamento industriale superiore e possono essere realizzati soltanto in paesi come gli Stati Uniti, dove l’industria dello acciaio dispone di un gran numero di laboratori di ricerca.

L’opera di Le Ricolais rimette dunque in questione le nozioni di forma e di spazio.

Si tuffa nel cuore della natura mediante un apparecchio matematico. Riesce a procurarsi con lo studio dei protozoi e dei film di sapone dei numeri, che permettono la creazione di nuove forme architetturali.

Può applicarsi alla costruzione di dighe come di missili stratosferici. Però, l'applicazione è secondaria, l'opera resta essenzialmente sperimentale e apre nuove strade, facendo nello stesso tempo sognare.

Léon Prébandier

Gli studi d’architettura,

(pagina 74)

Il Professore Paul Waltenspuhl cerca, in questo articolo, di chiarificare con grafici il processo che dovrebbe essere adattato agli studi di architettura.

L'estenzione delle città europee (Pagina 80)

Le distruzioni della guerra, il progresso demografico, l'urbanizzazione, la moltiplicazione dei veicoli hanno posto le città europee davanti esigenze impreviste. Per soddisfarle, la cultura offriva senza dubbio un ventaglio di dottrine (a dire il vero assai generali e combattute), ma poche esperienze. Le autorità mostravano dal canto loro più buona volontà che capacità, quando non erano semplicemente inerti (non esiste un solo cantone svizzero che possegga un piano regolatore).

Dato che la ricostruzione e l'ingrandimento delie città presentavano problemi assai complicati, si è cominciato con il punto più urgente, quello degli alloggi. In altre parole, si è voluto risolvere per primi dei problemi quantitativi. Questa semplificazione, prima dettata dall’urgenza poi diventata usanza, ha favorito la creazione di opere concepite per sè stesse. L’urbanista è stato dunque impedito dai programmi di intervenire nei centri. Infatti, i programmi hanno disgraziatamente la tendenza di sostituire la « giustaposizione » del nuovo e dell’antico alla «estensione» delle città, che implica la simbiosi del tradizionale e del moderno.

Da qui previene il difetto di tante realizzazioni che vorrebbero essere esemplari : l’assenza d’integrazione nella città primitiva. Invece di rigenerare le vecchie strutture, il legame semplicemente circolatorio delle due città distinte rappresenta una scissione con il passato. La parte nuova è d’altronde, date la sua concezione e la sua scala, una specie di mostruosa escrescenza sul fianco dell’altra. La città madre è considerata curiosità archeologica. Questa sparizione del senso storico e lo sradicamento che ne risulta mostrano chiaramente le lacune della nostra civilità.

Però, l’urbanista comincia a esserne cosciente e si sforza di tener conto di tutti i fattori. La griglia rigida è sempre più sostituita da una struttura ramificata, lontana dalla geometria elementare che caratterizzava i primi gruppi urbani moderni.

Si comincia finalmente a riconoscere la necessità di un rapporto diretto, di una intimità fra uomo e architettura. Stiamo ritrovando il valore della « strada ».

Tutto non è certo chiaro. Per esempio, il rapporto fra la città vaporizzata nella verdura e il suo cuore è fonte di litigi. La capacita di creare « spazi » urbani non esiste ancora, poiché implica un nuovo ordinamento fondamentale e non sono sicuro che ii razionalismo possa permettercelo.

tutte le nazioni contemporaneamente. Infatti, il turismo offre l’immenso vantaggio di procurare a uno Stato della valuta straniera senza contraccambio necessario. Per attirare i curiosi verso nuovi paesaggi, spiagge incantatrici o i piedi delle montagne occorrono strade moderne, senza dimenticare gli impianti alberghieri. Per parlare in termini economici, l’esempio della Germania e dell'Italia ha dimostrato che l'operazione valeva la pena di essere tentata.

Oggidì, i paesi poveri o ricchi, occidentali o orientali costruiscono autostrade: una nuova era si apre per il traffico automobile, che potrà finalmente svilupparsi in buone condizioni.

La Francia, il Belgio, l'Olanda, l'Inghilterra, la Iugoslavia, l’Austria e persino la Svizzera realizzano più o meno celermente dei programmi razionali. Anche l'Ungheria e la Bulgaria si sono associate allo sforzo.

L’automobile avrà ben presto le strade che aspetta da più di un mezzo secolo.

André Corboz

Il periodo classico dell'arte islamica copre i secoli ottavo e nono della nostra era e ha visto formarsi, sotto l'egida dei califfi omeiadici e abbassidi, il linguaggio architetturale proprio al mondo musulmano. La moschea omeiadica è la costruzione più originale dell’IsIam. Si compone di tre elementi fondamentali : il santuario vero e proprio o sala di preghiera, formato da una sala ipostile rettangolare, il più spesso oblunga; il cortile centrale; il portico che fiancheggia questo cortile ai tre lati opposti alla sala di preghiera.

Benché le sorgenti di questi diversi elementi possano essere situate nell’arte romanosassanide, occorre evitare di considerare il tutto come un moltiplice plagiato. Infatti, nè l’influenza delle architetture anteriori nè l’utilizzazione di materiali romani bastano a spiegare le forme nuove. Uno spazio interno e dei volumi nuovi articolati in modo originale caratterizzano la moschea classica.

Lo studio di costruzioni che rimontano ai primi decenni dell'Egira ci permettono di seguire i progressi di un’architettura, che trova la pienezza della sua autenticità nel secolo nono. Trattasi del Duomo della Roccia a Gerusalemme, della grande Moschea di Damasco, della moschea di Amr a Fostat, delle moschee di Cordova, di Kairouan, di Samarra e d'Ibn Touloun a Fostat. Eretta nell'anno 876, quest’ultima porta il nome dei governatore dell'Egitto Ahmed Ibn Touloun; riposa su un quadrilatero di 162 m. di lato e comprende 160 pilastri sormontati da archi interrotti leggermente oltrepassati. Qui, l’abitudine di utilizzare vecchi materiali è scomparsa e l'impiego di mattoni traduce l'adozionedellatradizione architetturale dell'lrak.

Le moschee di tipo classico si suddividono in due tipi: quelle la cui sala di preghiera possiede delle travate disposte nel senso della larghezza, sul prototipo di Medina, per esempio le moschee di Damasco e di

Il rinovamento dei centri.

(Pagina 100)

L'architetto H-R. Von der Mühll cerca di definire, con antichi ed atuale esempi, come dovrebbe essere composto un centro urbano.

Il vecchio continente alla ricerca della sua infrastruttura stradale (Pagina 108) L’Europa, chiamata non senza motivo il vecchio continente, ha vinto molti timori e falsi concetti prima di entrare con un ritardo inquietante nell'era delle autostrade. L’Italia, seguita ben presto dalla Germania, cominciò la costruzione di strade studiate specialmente per il traffico automobile nel periodo compreso fra le due grandi guerre. Dopo l'ultimo conflitto, i due paesi si rimisero al lavoro con una costanza che non tardò a portar frutto. La Germania con 3000 Km. di autostrade a quattro corsie occupa il primo posto in Europa e il secondo nel mondo dietro gli Stati Uniti d'America. L'Italia viene in seguito con 1600 Km., ma ha decretato con mozione d'urgenza la costruzione di altri 1.016 Km.

Le autostrade sono state reclamate durante decenni da tutti gli automobilisti e da numerose associazioni ufficiali o officiose. Tutti gli argomenti possibili sono stati avanzati.

Erano inconfutabili e d'altronde non confutati, ma la lentezza amministrativa fu più forte. Mentre la Germania si muoveva per ragioni strategiche e l’Italia per considerazioni di prestigio, nulla succedeva negli altri paesi. Eppure, la fluidità e la sicurezza di un traffico sempre più denso (e sempre più rimuneratore per il pubblico tesoro) faceva sorgere problemi tragici. Fu il turismo che rilanciò il movimento in quasi

Henri-F. Berchet

L’architettura classica dell’IsIam (Pagina 134)

La moschea di tipo omeiadico, una continuità spaziale

Ibn Touloun; quelle che comportano una serie di navate perpendicolari alla kibla, come a Amr, Kairouan, Cordova e Abou Dolaf. Attraverso queste due soluzioni si esprimono concetti un po’ differenti, malgrado l’unità degli spazi interni, che sono simili. Allorché la travata forma un tutto, nella moschea a più navate la foresta di colonne dà l'impressione di uno spazio più fronzuto. Ma nell’uno e nell'altro caso troviamo uno spazio polidirezionale, raggiante, dove la vista penetra con facilità attraverso un numero illimitato di cammini. Questa libertà totale che emana dalle sale ipostili esprime una profonda costante dell'anima nomade. C'è una ricerca che vuole esprimere l’infinito. Infatti, attraverso il groviglio dei fusti e dei pilastri non si distinguono più i limiti della sala di preghiera. In tal modo, la moschea esalta uno spazio dinamico, che corrisponde a una nozione di luogo fluttuante, molto caratteristica della prima civiltà araba. Tanto i limiti sono poco rigidi, altrettanto la nozione stessa di facciata perde il suo senso. La facciata principale della sala di preghiera è traforata e si riassorbe in un sistema di arcate che accentuano l’orizzontale. Non forma più così una limitazione fra l’esterno e l'interno. Questa continuità spaziale è tipica in tutte le moschee classiche. Al limite indistinto fra lo spazio aperto e lo spazio coperto, troviamo una compenetrazione di volumi. Essa permette di imparentare la moschea alle ricerche più avanzate dell’architettura contemporanea.

Anche lo stile orizzontale e il frequente impiego di sale oblunghe presentano delle caratteristiche proprie all’anima araba. I nomadi che vanno a gruppi nel deserto non camminano su strade, non formano una colonna, ma avanzano al contrario su un gran fronte. Abituati a schierarsi su distese infinite, traducono nella loro architettura questo bisogno di spazio che si ritrova nell’ordine dei fedeli quando pregano.

La miglior prova dell'esistenza di paralleli fra la nozione di spazio e la sopravvivenza dell'anima nomade è la scomparsa di queste costanti nell'architettura ulteriore dell'IsIam, con i Fatimidi, i Mammalucchi ei Selgiuchidi.

Henri Stierlin Relazioni fra le arti plastiche

(Pagina 146)

Sotto questo modesto titolo viene sollevato uno dei problemi più gravi del mondo contemporaneo. A quest’ultimo mancano le qualità più fondamentali nel campo dell’armonia e della plastica.

L'insufficienza di senso estetico fa pensare a un numero importante di persone colte che la nostra epoca non ci può più portare nulla. Questa rinuncia provoca, in cambio, un rispetto assoluto verso le opere del passato.

Eppure, il nostro secolo dispone di mezzi tecnici più sviluppati, che hanno permesso una rivoluzione quasi totale nell’espressione architetturale. Ma l'evoluzione è appunto tanto rapida che l’architettura non ha più la stabilità dei vecchi stili.

Inoltre, l’aumento della ricchezza dei mezzi d’espressione ha stimolato soltanto in qualche caso rarissimo la qualità dell'invenzione plastica. Un piccolissimo numero di personalità hanno avuto il coraggio di

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affermare il loro pensiero, ma il livello medio della creazione è incredibilmente debole.

È soprattutto nel campo dell'urbanismo, il maggiore delle arti plastiche, che la nostra epoca ha fallito.

Tutte le grandi civiltà hanno saputo armonizzare le loro opere architetturali con i siti nei quali esse si trovavano. Le città antiche sono state adattate ai luoghi spesso magnifici che le ricevevano. Invece, noi discutiamo più che mai di urbanismo e non ne applichiamo le regole. Eccettuiamo naturalmente le esperienze coraggiose di Chandigarh, di Brasilia e alcune altre di minore importanza, benché esse pure comportino serie lacune. Infatti, la concezione non basta ; occorre che l'esecuzione sia affidata a squadre di tecnici educati plasticamente.

Quali sono gli artisti che dovrebbero collaborare per affermare nel senso sucitato la civiltà contemporanea ? Urbanisti, architetti, pittori e scultori. I pittori dovrebbero dunque far più che creare opere all'Intenzione dei collezionisti e dei musei. In quanto agli scultori, la loro attività è sempre più ridotta.

Sarebbe necessario di modificare l'ordine delle attività imposte a questi artisti e farli partecipare all'elaborazione dei grandi lavori di costruzione.

Fondato nel 1950 a Parigi, il «Gruppo Spazio » univa urbanisti, architetti, pittori, scultori e artisti creatori nel campo dei mobili e delle arti grafiche. L’idea fece strada e delle esperienze simili sono state fatte in diversi paesi. Non dimentichiamo però i tentativi precedenti del gruppo olandese de Stijl (1917-1935) e del Bauhaus tedesco. Il gruppo parigino ha bensì creato una corrente d’idee, ma non ha ancora potuto suscitare una vera solidarietà fra artisti di origine diversa. Però, i suoi membri ci hanno dato opere rimarchevoli, quali i lavori di policromia di Del Marie, la città universitaria di Caracas di Villanueva, le costruzioni svizzere del rimpianto Jean Tschumi e qualche esperienza nell'Iran.

Il Corbusier ha fatto da solo la sintesi delle arti, ma vi è forse una dissonanza fra il Corbusier architetto e il Corbusier artista.

Altri tentativi sono stati fatti, ma con minor successo. Il palazzo dell'Unesco a Parigi avrebbe potuto essere una grande cosa, e invece si ebbe ricorso troppo tardi ai pittori e scultori e le loro opere furono poste in luoghi impropri.

Bisogna rendersi conto del quasi fallimento della collaborazione fra artisti e architetti contemporanei. I mezzi messi alla disposizione degli uni e degli altri sono stati senza dubbio insufficienti; ma soltanto raramente dei tentativi seri sono stati fatti con convinzione.

André Bloc Prima biennale internazionale della tappezzeria, Losanna 1962 (Pagina 152) Una ventina di paesi hanno partecipato alla prima Biennale della tappezzeria, che ha avuto luogo a Losanna dal 15 giugno al 17 settembre. È stata la prima manifestazione di un’arte che, secondo Jean Lurçat, presidente della Biennale, « è caduto in sincope, ma rivive e fa scintille da quasi vent’anni ». È il CITAM (Centro internazionale della tappezzeria antica e moderna) che ha avuto l'idea di questa esposizione

panoramica, interessantissima per gli artisti, i critici e gli storici.

Fra le opere più rimarchevoli, vi era una delle ultime tappezzerie di Le Corbusier di di 28 m2, un'opera di Lurçat (frammento del «Chant du Monde» la più grande tappezzeria dei tempi moderni) intitolata « La poesia » e una tappezzeria giapponese tessuta non con pettini, ma con le unghie.

Citiamo anche le opere polacche, quelle di Prassinos, Tourlière e Denise Voita, nonché una tappezzeria in bianco e nero di Henri-Georges Adam.

La prima biennale era dedicata alle opere monumentali, quelle più piccole saranno presentate alla prossima manifestazione.

Quest'anno, abbiamo già potuto fare un bilancio provvisorio, favorevole agli autori e agli organizzatori dell’esposizione.

La forma e i gioielli di Irène Brynner (Pagina 158)

La nozione di forma è importante. Presenta oggi due aspetti primordiali, uno legato all'astrazione matematica, l'altro al mondo intuitivo.

La nozione di forma resta, nell’architettura, inseparabile dello studio delle strutture.

Esige dunque un apparecchio matematico, di cui la maggior parte dei costruttori non hanno coscienza. Le formule della costruzione essendo anziane, leforme evoluiscono molto lentamente. L'empirismo dell’architettura essendo limitato dai criteri di rentabilité, è praticato in modo quasi artigianale.

La vera architettura è oggidì fatta in laboratorio. Domani, le società se ne impadroniranno avidamente, poiché si troveranno davanti a problemi troppo ampi per poter essere risolti mediante l'empirismo artigianale.

La nozione intuitiva della forma deve, se vuole sopravvivere, tener conto di nuove esigenze, dato che i nostri sensi non tollerano più il divertimento decorativo.

I gioielli di Irène Brynner illustrano quanto precede. I vezzi, gli ornamenti possono essere non più una semplice decorazione, ma una specie di gloria alla vita, un momento essenziale nell’esistenza di un essere umano. Infatti, un oggetto non utilitario può diventare anche lui una ragione di esistere.

Lo scultore Irène Brynner di New York fabbrica personalmente e completamente i suoi gioielli. Le incastonature sono inventate man mano secondo la forma dello oggetto. Le gemme sono talvolta tagliate come sculture e non secondo le regole classiche. Il gioiello cerca, in modo generale, di essere un oggetto che faccia parte della vita di chi lo porta.

La forma intuitiva esige che colui che la crea analizzi lungamente l’uomo vivente.

Brynner è andata molto lontano in questa analisi. Ecco perchè il suo gioiello diventa immediatamente un elemento della persona che se ne adorna.

Léon Prébandier Lettera dalla Francia

(Pagina 225)

Lo studio di un programma architetturale causa al costruttore francese difficoltà che ci sembrano superiori a quelle incontrate dai colleghi di quasi tutti gli altri paesi europei.

I regolamenti urbani sono fatti da funzionari, ossia da specialisti che pensano soltanto al loro settore : igiene, allineamento, edilità, ecc.

I ritardi amministrativi sono tali che parecchi mesi se non anni sono necessari per lo studio di un incarto, che rischia persino di sparire durante il suo viaggio attraverso gli innumerevoli servizi.

La politica interviene ad ogni momento, di modo che certi progetti sono modificati, amputati 0 sfigurati in seguito a campagne di stampa di carattere essenzialmente demagogico.

La clientela francese non ha disgraziatamente nessun giudizio qualitativo e non possiede criteri per apprezzare l’arte moderno.

Malgrado questi ostacoli, numerosi architetti francesi sono coscienti della necessità della ricerca e ne abbiamo varie prove: il Congresso internazionale dell’urbanismo in settembre nel palazzo dell’Unesco, l’esposizione di architettura che lo ha completato nel Museo di arte moderna e il salone d’autunno, grande manifestazione architetturale diretta da Raymond Lopez.

Diversi progetti mostrano che la Francia è pronta ad accettare un piano generale del territorio. Per realizzarlo, sarà però indispensabile che le nozioni di arte, di plastica e di estetica troppo spesso ignorate diventino il pensiero dominante dei creatori.

Lionel Mirabaud Lettera da Parigi

(Pagina 226)

Due anni fa, il museo delle arti decorative di Parigi inaugurò un ciclo di esposizioni chiamate « Antagonismi », dato che il loro scopo è di confrontare le tendenze più avanzate della pittura moderna.

Quest’anno invece di pittura vi è stata un’esposizione organizzata da Yolande Amie e François Mathey sotto il motto « L'Oggetto ». Si trattava infatti di mostrare al pubblico una serie di oggetti di ogni genere, per la creazione dei quali gli artisti avevano ricevuto piena libertà. Vi era dunque un'idea di plastica sperimentale senza obbligo assoluto di presentare del «funzionale ».

I gioielli di Picasso, Laurens, Ernst, Mathieu, Claire Falkenstein e Coulentianos sono stati rimarcati, come pure le creazioni in fìl di ferro e carta argentata di Jean Dubuffet.

II numero dei giocattoli e gingilli era grande.

Citiamo le bambole già conosciute di Jacobsen, i burattini articolati di Carrington e gli scacchi di Germaine Richier, Man Ray e Ernst.

Calder è il creatore di un lampadario di latta e fìl di ferro, le cui dodici lampadine sono portate da altrettanti stampi di pasticciere.

Nel campo della mobilia vi era di tutto: il migliore come il peggiore. Parecchi artisti hanno fatto riapparire il baldacchino. Quello di Dorothea Tanning e Mathieu si componeva di stoffe lacerate e sormontava un letto in forma di cesto.

In quanto all'architettura, si trattava essenzialmente di saggi sperimentali relativi anzitutto alle forme. La casa di Pierre Szekely

era piuttosto un volume scultato. Lo scultore Etienne Martin presentava il progetto della chiesa di Bron-Parilly, rappresentata da una specie di frutto, nel quale entrano le api, ossia i fedeli. Rimarchevole il disegno di teatro a scene multiple del pittore Agam e dell'architetto Claude Parent. Lo scultore André Bloc, appassionato di ricerche, ha proposto un oggetto gonfio, perforato, vuoto all’interno e destinato a service di «riparo» per l’uomo; precisando che non si tratta di un’opera architetturale, l’autore 10 ha chiamato «scultura abitacolo».

Uscendo da questa esposizione, avevamo l’impressione che la tendenza dominante era ricorrere al barocco colorito di surrealismo, di lavorare in modo spacciato, poco preciso, in poche parole di reagire contro il rigorismo dell’oggetto fatto in serie.

Ma pochi degli oggetti esposti rispondevano alla realtà. Claudius Petit, presidente della Unione Centrale delle arti decorative, disse giustamente che gli artisti che vogliono essere dei novatori, degli avanguardisti, sono spesso dei ritardati sul piano sociale.

Da ciò proviene senza dubbio il loro gusto per un modo di vivere romantico.

S. Gille-Delafon Lettera d'Italia La rinascente in Piazza Fiume a Roma architetti Franco Albini e Franca Helg (Pagina 228)

La prova fornita da Albini, architetto milanese che ha progettato l'edifìcio romano della Rinascente, ha un duplice interesse: è importante cioè sul piano architettonico, e ha un prestigioso significato culturale.

L’innesto della costruzione nel contesto delle mura aureliane è stato realizzato con tale cura ambientale, con tale penetrazione e accordo rispetto al volto della città, da richiamare alla memoria l'opera degli architetti lombardi che operarono nella capitale nell’età d'oro del barocco romano.

Albini ha realizzato insomma un'opera aristocratica, forse non troppo cordiale, ma ha rispettato in modo esemplare la radice tecnologica di un elemento non viziato dal folclore, come se la « storicità » di Roma fosse stata colta nella sua essenza logica e astratta, davvero incontaminata.

11 tema del « grande magazzino di vendita », che già Dudok a Rotterdam aveva risolto nel '29 con il parziale abbandono — nel progetto relativo al « Bijenkorf » del vecchio modulo ottocentesco, e che Breuer aveva ricaratterizzato nel dopoguerra secondo i canoni della funzionalità, conosce nella soluzione fornita da Albini il momento più felice della sua storia. Il vincolo tipologico è riscattato dalla volontà creatrice, dal collegamento ambientale, dal modo in cui la struttura a maglia in acciaio ripropone all’esterno la scala umana degli spazi usufruibili, mentre le stesse canalizzazioni verticali ed orizzontali degli impianti sono sfruttate per suggerire all’operazione architettonica l'interpolazione dei dati tecnici, evocando certi valori di superfìcie articolata che furono tipici dell'architettura romana d'altri tempi.

La struttura metallica diviene leggibile, è adoperata per esprimere un senso di vibrazione chiaroscurale, in cui la allusione ha carattere dinamico, ed è il risultato rarissimo di un processo creativo fissato allo stato

nascente. Ogni elemento si fa portavoce di un chiaro programma architettonico: le soluzioni angolari, la tessitura dei solai, il profilo di lamiera sagomata in corrispondenza del lamierino che sostiene i pavimenti, il colore antracite della struttura, il rosso carminio dei pannelli di tamponamento, imprimono un suggello personale a ogni sia pur esile parte del discorso compositivo.

L’invenzione della parete pulsante crea poi una superfìcie continuamente rimodellata dalle angolazioni della luce, e i pannelli prefabbricati, che hanno i colori corrispondenti alla dimensione temporale dei vecchi intonaci romani, e il cui valore plastico si infittisce verso l'alto, chiariscono l’indipendenza dell'insieme dall’economia di un organismo statico per commentare la vivacità e la molteplicità della vita che si svolge nel magazzino.

Se qualcosa non appare persuasivo, è il contrasto di materie, che poteva risolversi forse soltanto in virtù di un più generoso sforzo inventivo, che collegasse lo spazio interno con quello esterno arrivando a una reciproca definizione di valori.

Si tratta però di una limitazione addebitabile soltanto in parte ai progettisti, e probabilmente conseguente al complesso iter burocratico che il progetto ha percorso prima della sua definitiva approvazione, oltre che alla decisione del committente di affidare ad altri l'arredamento interno del magazzino.

Questa dimensione è rimasta neutra e piatta, talvolta volgare, e persino alcuni episodi felici paiono muti, mentre gli accordi cromatici, talvolta sottili, sono tuttavia irrimediabilmente sordi.

Quanto al valore urbanistico dell’edifìcio, occorre valutare per esempio la suafunzione di perno prospettico di Trinità dei Monti, e l’attenzione che la scalinata e la Chiesa sollecitano in fondo al canale prospettico di via Condotti.

Il fronte della Rinascente su piazza Fiume, degradando i palazzi vicini dalla funzione di protagonisti, li obbliga ad assolvere assai più degnamente una funzione di accompagnamento, mentre dal fondo di via Piave, di via Bergamo e di corso Italia si ha la sorpresa di un nuovo fulcro visivo di felicissimo accordo cromatico.

È certo che questo edifìcio di Albini rappresenta un momento di estrema efficienza nella sua ininterrotta polemica contro la volgarità e l’approssimazione, nel suo ricercare la soggettività in un processo rigorosamente oggettivo, quasi come premio di una operante moralità.

Nello Renacco Lettera dalla Spagna

(Pagina232)

La nuova sede sociale degli architetti a Barcellona Xavier Busquets, arch.

Il nuovo edifìcio del Collegio degli architetti si trova in mezzo al quartiere vecchio di Barcellona, chiamato quartiere gotico, di fronte alle mura romane e alla cattedrale.

Si tratta di una torre dì sette piani, contenente dal basso in alto l'esposizione permanente di materiali di costruzione, le sale di conferenze, i locali di sosta, la biblioteca, la redazione della rivista « Cuadernos », gli uffici d’informazione, direzione,

amministrazione, controllo delle piante, segreteria. I due ultimi piani sono riservati al club-bar e al ristorante. Il tetto è costituito da un terrazzo che offre una splendida vista sulla città.

La struttura è un'armatura saldata dipinta all’esterno secondo il metodo Mollerit; tutto l’edifìcio è climatizzato. Il suolo dell’entrata, dei vestiboli e della scalinata generale è di granito naturale, quello delle sale d'esposizione di gomma, quello delle sale di conferenza e della biblioteca di materiale plastico, quello degli uffici di terrazzo, quello del club-bar e del ristorante di legno africano Acoga, quello del terrazzo infine di piastrelle di marmo.

La mobilia è stata affidata dopo concorsi a vari architetti.

Pablo Picasso ha disegnato tre riquadri esterni e due interni, trascritti dal norvegese Carl Nesjar. I motivi sono delle feste popolari catalane, mai dimenticate dal grande artista, che ha trascorso la sua gioventù e ottenuto i primi successi a Barcellona.

Lettera dalla Danimarca

(Pagina 235)

In aprile, il Ministero danese degli alloggi ha lanciato una campagna in merito alla modernizzazione delle piazze di giuoco.

Già da alcuni anni, degli psicologi specializzati hanno creato, nel quadro di piazzali di giuoco, dei comuni appartenenti totalmente ai bambini. Questi, sorvegliati da un adulto, costruiscono case, nominano consigli e sindici, mantengono l'ordine, emettono leggi. Imparano così giocando i principi fondamentali della vita democratica.

D’inverno tutto è smontato, i materiali messi al riparo e in primavera si ricomincia.

Molti artisti hanno collaborato per creare i materiali. Cemento ultrarapido e legno sono utilizzati per le opere solide.

Queste esperienze sono state riprese in parecchi paesi d’Europa.

Lettera dal Messico

(Pagina 236)

I circoli artistici messicani considerano che gli eventi culturali ufficiali dell’annata sono stati meno importanti dei lavori di singole personalità. Eppure l’attribuzione del premio Auguste Perret a Felix Candela durante il Congresso Internazionale d’Architettura a Londra è stata significativa. Infatti, l’opera di questo architetto esercita da lungo tempo un'influenza benefica nel Messico.

Qualche mese fa moriva Carlos Obregon Santacilia, uno dei precursori e fondatori dell'architettura moderna messicana, che però dispone sempre di un alto difensore accanito nella persona del vecchio maestro José Villagran Garcia.

II problema gigantesco dell'integrazione nella capitale d’immensi edifìci di abitazione, sottoposto dal governo all’architetto e urbanista Mario Pani, non è ancora risolto.

Invece, un programma di costruzione di nuove scuole ha permesso di trovare idee interessanti in merito alla decentralizzazione. Il nuovo albergo « Maria Isabel » degli architetti Juan Sordo Madaleno e José Villagran Garcia è disgraziatamente di carattere pervenuto, senza contatto alcuno con la realtà del paese.

277

L'architetto Ricardo de Rolina, uno dei migliori, è stato incaricato di dirigere il restauro delle cattedrali di Messico e di Cuernavaca.

Vi è stato infine lo scandalo provocato dagli Hartistas (= i disgustati, per opposizione agli Artistas = gli artisti). Questo gruppo ha organizzato una strana esposizione di quadri « metacromatici », mobilia, fotografìe, utensili bizzarri, canestri di frutta e spighe di granoturco. Ha spiegato nei suoi opuscoli che ne ha abbastanza delI'« atmosfera isterica del mondo artistico attuale». Si batte insomma contro gli «ismi », ossia realismo, neo-realismo, neodadaismo, ecc. Trattasi in realtà di un movimento più filosofico che artistico, il cui motto è « credere senza domandare a che cosa ». L’idea di ristabilire l'arte nella vita e nell'architettura non è nuova, però gli Hartistas mettono l'accento sulla metafìsica. Hugo Ball non ha certo mai pensato diventare un giorno l’ideale di un gruppo di parlatori artistico-fìlosofici messicani. Ma il Messico è ancora il paese delle possibilità illimitate, soprattutto nel campo intellettuale.

Ida Rodriguez P.

Piccolo viaggio a zigzag attraverso le esposizioni elvetiche (Pagina 239)

278

L’anno 1962 è stato in Svizzera ricchissimo in esposizioni di ogni genere.

Losanna: Più di trecento opere del rimpianto pittore R.-Th. Bosshard hanno permesso di percorrere le tappe successive della vita intensa e appassionata di questo grande artista.

La retrospettiva Marius Borgeaud è stata una vera rivelazione per alcuni, tanto l'opera di questo pittore fu esemplare. Una vivissima sensibilità accoppiata a un rigore geometrico evidente fanno dell’artista un compositore colorista di valore.

Abraham Hermanjat, di cui abbiamo celebrato in settembre il centenario della nascita, è stato battezzato da Paul Budry il padre della pittura vodese. Partito dall'esempio di Barthélemy Menn e dopo di aver seguito i consigli di Corot, Hermanjat voltò 10 sguardo verso Delacroix, Cézanne e la scuola impressionista e neo-impressionista.

11 pittore e incisore su legno vodese Henry Bischoff, morto nel 1951, ha illustrato le opere di Ramuz, Henry Pourrat, Daisy Ashford e Edmond Gilliard.

Bienna: La terza esposizione svizzera di scultura alla’aria aperta (giugno-luglio) ha offerto un panorama dei più recenti lavori elvetici. Citiamo Aeschbacher, Gigon, Koch, Meister, Wyss, Rouiller, Ramseyer, Katharina Sallenbach, Bernard Schorderet e Luginbuhl. Fra le opere più aeree, trasparenti, barocche 0 francamente tumultuose, abbiamo rilevato quelle di Kemeny, Vögeli, Linck e Tinguely. Altri artisti eminenti che hanno esposto: Hafeifìnger, Franz Fischer, Jean Latour, Condé, Poncet, Bodmer, Witschi.

Pully: Dopo di aver presentato una serie di disegni e incisioni di Paul Klee, la « Maison pulliérane » ha riunito in maggio circa duecento litografìe di Daumier.

Ginevra: Il museo Rath ha presentato un’esposizione straordinaria «Chagall e la Bibbia», comprendente un centinaio di

pitture all'olio, duecento incisioni e una serie di progetti per le invetriate di Gerusalemme.

Basilea: La Kunsthalle ci ha offerto « Duemila anni di scultura del Niger» e «L’arte della Nuova Guinea», nonché un'esposizione di opere dello scultore spagnolo Chillida.

Zurigo: Il Kunsthaus ha presentato « Settemila anni di arte persiana » e il « Chant du Monde», la più grande tappezzeria dei tempi moderni, creata da Jean Lurçat.

Berna: La Kunsthalle ci ha dato una grande retrospettiva Charles Lapicque, una piccola retrospettiva Francis Picabia e l’esposizione di tre giovani pittori americani : Alfred Leslie, Jasper Johns e Robert Rauschenberg.

Coppet: Il castello di Coppet ha festeggiato i trecento anni di esistenza dei Gobelins.

Vevey: Sotto il motto «Da Cézanne a Picasso » abbiamo potuto ammirare qualche capolavoro di Cézanne, Dufy, Boudin, Signac, Cross, Laprade, Chagall, Rouault, Villon, Segonzac e Léger.

L’Oeuvre

(Pagina 245)

« L’Oeuvre » ha dato alla sua attività dei cinque ultimi anni una direzione ispirata dalla perspettiva del 1964. Già nel 1957 proponeva alla direzione dell’Esposizione Nazionale Svizzera la creazione di un centro culturale. Nel 1960 e nel 1961 organizzava due esposizioni a Losanna « Materiali e Spazi »e a Ginevra (« Costruire e Abitare »).

Il suo presidente P. Monnerat, grafìsta, e vice-presidente P. Waltenspuhl, architetto, sono ambedue membri dell’alta commisione dell’Esposizione, il primo è inoltre membro del comitato di organizzazione e della commissione di propaganda.

« L'Oeuvre » sarà rappresentata nel 1964 nei settori «Arte di vivere», «Scambi» e «Industria e artigianato». Questa associazione avrà cinquant'an ni l’anno prossimo.

Presenterà un’esposizione in diverse città svizzere e editerà un libro trattante dell’evoluzione delle arti grafiche applicate in Svizzera durante l’ultimo mezzo secolo.

Come si vede, il programma immediato è già considerevole, ma ancor più importante è l’avvenire lontano. Dei contatti hanno avuto luogo fra i dirigenti del «Schweizerischer Werkbund» e quelli dell' «Oeuvre », con lo scopo di studiare la possibilità e l'opportunità di una collaborazione più stretta o di una fusione delle due associazioni. Questo avvicinamento non può essere che profittevole a due gruppi che difendono ideali comuni.

La parte generale, colonna vertebrale dell'esposizione nazionale svizzera del 1964 a Losanna (Pagina 249) La futura esposizione nazionale svizzera comprenderà una « parte generale », che illustrerà la vita elvetica del passato, del presente e dell'avvenire e una «parte speciale », riservata alle attività specifiche dei diversi settori del paese e realizzata con l’aiuto degli espositori.

È chiaro che la prima dovrà dare il tono.

Dal punto di vista del prestigio, provocherà il successo o la rotta di tutta la manifestazione. Dovrà fornire la visione del futuro, definire una politica, dunque enunciare gli elementi di un credo elvetico. Sarà divisa in tre sezioni : la storia, un giorno in Svizzera e la Svizzera di fronte al suo avvenire.

Gli architetti hanno immaginato una struttura semplice di travi incollate, che permettono di creare volumi e spazi interni e costituiscono nello stesso tempo il sostegno degli oggetti esposti. Detta struttura serve dunque da facciata, da tetto e se necessario da cavalletto di mostra. Sarà protetta contro le intemperie da una pelle di materiale plastico trasparente 0 traslucido secondo l’illuminazione voluta.

Occorreva prevedere un’affluenza di 10 000 visitatori all'ora e un tempo di visita di due ore circa. I circuiti sono quindi stati calibrati e fìssati a 1000 metri con diversi punti di sosta.

La sezione « la storia » potrà essere visitata nei due sensi, la sezione «l’avvenire» invece in senso unico. In quanto a « un giorno in Svizzera », questa sezione, posta fra le due altre, sarà un gran piazzale all’aria aperta. L’entrata normale al nord sarà prossima della stazione ferroviaria speciale e del telecanapé, mezzo di trasporto assolutamente nuovo.

Una passerella condurrà attraverso una cortina d'alberi al «finale» della parte generale : il terreno ricuperato sul lago, dove lo sfogo sul largo sarà messo in valore da una composizione di volumi geometrici posti a diversi livelli, ma tutti accessibili. Una piramide strutturale porterà le 3100 bandiere dei comuni svizzeri.

Qm Cocchi Cronaca ASPAN

(Pagina 253)

La foresta e la sua importanza nel piano regolatore del paese, delle regioni e delle città La legge federale svizzera relativa alle regioni boscose è stata votata l’undici ottobre di quest’anno. Ripartisce le foreste, che rappresentano un quarto del nostro territorio, in zone protette e non protette.

Le prime sono quelle nelle quali arrivano acque non domesticate, nonché quelle che rappresentano una difesa non soltanto contro le valanghe, le frane ecc., ma anche contro le influenze nefaste del clima.

La Svizzera aveva nel 1900 3,3 milioni di abitanti, di cui soltanto un milione abitava in 21 città. Nel 1960, più di 2,3 dei 5,4 milioni di abitanti si trovano in 65 città, senza contare i sobborghi. I problemi sorti da questo sviluppo sono il rumore, la polluzione dell'aria e l'aumento del consumo d'acqua corrente. Se vogliamo che le generazioni future abbiano uno spazio decente per vivere, lavorare, nutrirsi, dobbiamo fare in modo di conservare la foresta vicino ai grandi centri, poiché essa è il miglior mezzo di lotta contro il rumore e la polluzione dell’aria. Dato che i cantoni hanno la possibilità di far passare 17% della superfìcie boscosa dalla zona non protetta in quella protetta, è essenziale che non cedano a scopi privati e autorizzino lo sboscamento soltanto in casi eccezionali e quando vi è possibilità di rimboscamento a prossimità.

Proteggere la foresta significa proteggere l’interesse generale, visto che la foresta è la fonte insostuibile della salute del nostro P°Pol°Dott. R. Stiideli