Traduzioni italiane

Dove è oggi l’architettura ?

(pagina 2)

Il quesito che «Architecture Formes + Fonctions» pone a quanti si interessano alla più importante tra tutte le attività umane, o in essa agiscono, giunge quanto mai opportuno e merita di suscitare una viva discussione, che valga a chiarire la innegabile crisi di intenti e di modi realizzativi che ostacola lo splendido sviluppo architettonico che i mezzi tecnici e i nuovi grandiosi temi, renderebbero attuabile, e dovuta, principalmente, alla separazione didattica e professionale, iniziata negli ultimi decenni del secolo scorso, tra «Tecnica» ed «Arte» del costruire, la cui sintesi aveva, fin dal più lontano passato, definito e caratterizzato I'« Architettura ».

La «Tecnica», fiera dei successi ottenuti con la creazione della Scienza delle Costruzioni e con 10 sviluppo delia Meccanica dei sistemi elastici, si era infatti decisamente indirizzata verso una sempre più integrale teorizzazione, a base matematica, della statica e del dimensionamento dei sistemi resistenti, mentre l’«Arte» si rifugiava in decorazioni, costituenti una aggiunta, una specie di veste, applicata sull'organismo costruttivo.

Non di rado II loro studio era affidato ad « Architetti » dopo che gli « Ingegneri » avevano completato l’opera muraria.

I grandi ponti in ferro o In cemento armato che la «tecnica» era già capace di realizzare, venivano, se costruiti nell’interno di città, resi « architettonici » con l’aggiunta di soprastrutture decorative di cui oggi, nei migliori dei casi, possiamo valutare la sostanziale inefficacia.

11 pensiero che una bella struttura potesse di per sè essere una vera e commovente architettura non sfiorava la mente della grandissima maggioranza dei cultori e professionisti del costruire.

La ideazione e definizione disegnativa delle ornamentazioni (cornicioni, cornici di piano, timpani e stipiti di finestre, bugnati di muri) non implicavano problemi statici, e quelli esecutivi rimanevano affidati ad aziende specializzate di stuccatori e scalpellini. Anche nell’insegnamento delle materie architettoniche nelle scuole per Ingegneri Civili l’attitudine mentale con cui professori, studenti, e poi professionisti, affrontavano il problema estetico, era completamente separata da quella con cui veniva studiato l'organismo costruttivo. Nessuna ricerca formale veniva presa in considerazione nello studio delle strutture o del corpo resistente di un edifìcio.

Testi di architettura, riviste, giudizi estetici di un'opera edilizia riguardavano principalmente la « Facciata » i cui elementi devorativi erano presi dal passato, o dalle mode che via via si susseguivano, cosicché, previa opportuna scalpellatura della precedente, si sarebbero potute ripetere le diverse decorazioni una dopo l'altra sullo stesso organismo murario, ottenendone ogni volta, una nuova definizione stilistica.

Si può osservare che qualcosa di simile non era mai accaduto nei tempi precedenti.

I caratteri specifici che ci permettono di classificare le opere del passato nei diversi stili, sì riferivano costantemente, sia all’organismo strutturale, che alle più o meno ricche aggiunte decorative.

Le costruzioni romane, anche completamente spoglie dei rivestimenti marmorei interni ed esterni, quali oggi ci appariscono, hanno una ben differente espressività architettonica di quella data

dalle costruzioni gotiche o romaniche, e niente si potrebbe immaginare di più esteticamente assurdo che il tentare di intermutarne il carattere, applicando alle une le decorazioni delle altre.

Questa meravigliosa unità tra organismo strutturale e arricchimento decorativo, per cui la grandiosa e potente struttura termale romana trovava il suo perfetto completamento nelle fastose decorazioni marmoree, allo stesso modo che la essenzialità strutturale gotica lo trovava nella semplicità delle sue sculture e disegni geometrici, dimostra che le mentalità costruttive e decorative, avevano una sola origine e in ogni caso si esplicavano in una completa armonia di criteri e sentimenti.

Le ossature murarie nascevano «architettoniche», erano, come io dimostra l’etimologia stessa del suo titolo, opera di « architetto » e lo stesso architetto o suoi diretti collaboratori provvedevano alle rifiniture decorative.

L'atmofera, più che i programmi, delle Facoltà di Architettura, i progetti che si possono vedere in occasione di grandi concorsi internazionali, le pubblicazioni delie più quotate riviste di architettura, dimostrano quanto ci siamo allontanati da questa sintetica visione del problema architettonico.

Gli stretti limiti delle possibilità didattiche, che trovano più facile sviluppo nel campo disegnativo, la mentalità fondamentalmente formalista di molti docenti cresciuti nel totale formalismo architettonico dei primi decenni di questo secolo, la intrinseca difficoltà dei problemi tecnicocostruttivi dovuta alle sempre crescenti dimensioni degli edifìci e alla varietà del loro tipi ed esigenze, la preferenza della quasi totalità degli allievi verso I più affascinanti problemi estetici e le astrazioni artistiche, in confronto delle apparentemente più difficili realtà statiche e costruttive, fanno si che la grandissima maggioranza dei giovani architetti, e dei critici, e del cultori di architettura, restino tutt'ora interessati alla apparenza esteriore dell'opera architettonica e non cerchino di ottenere nè in fase ideativa, nè di (nettere in luce in fase didattica o critica, l'indispensabile unità caratteristica deli'« arte e tecnica del costruire ».

Si direbbe quasi che in molti ambienti culturali architettonici, si sia giunti all’assurdo di una «Architettura» che rinnega il «costruire», sua stessa ragione di essere; contrapponendola alla «Ingegneria» senza considerare che la vera, la grande architettura è sempre stata e non può essere altro, che una Super-Ingegneria; una ingegneria che nel pieno soddisfacimento di tutti i requisiti funzionali e tecnici, che si richiedono a qualsiasi realtà costruttiva, ha saputo, con la espressività estetica, raggiungere il superiore e indefinibile regno dell’Arte.

Uno dei primi provvedimenti per ovviare a questa situazione, sarebbe l'unificazione degli studi universitari diretti a formare i progettisti del costruire.

Se si considera la differenza di mentalità che esiste tra docenti ed allievi della Facoltà di Ingegneria Civile, e quelli delle Facoltà di Architettura, non può non meravigliare il fatto che i laureati delle due possano poi, legalmente e praticamente, esercitare una attività professionale diretta ad uguali finalità.

Una evidente contraddizione in termini impedisce che entrambe le preparazioni didattiche siano le ottime e tali da raggiungere i migliori risultati.

La vera scuola per architetti dovrebbe differire, sia dai residui di formalismo superficiale che ancora si trovano nelle une, quanto dal troppo spinto formuiismo matematico deile altre, e sopratutto avere, In tutte le discipline, un carattere eminentemente concettuale.

L'architetto, sia quale ideatore, in fase di progetto che come direttore responsabile della realizzazione, in fase esecutiva, deve conoscere l'essenza e i principi fondamentali di tutte le tecniche, e sono molte, che entrano nella costruzione e nel funzionamento di una opera edilizia.

Senza essere materialmente un costruttore deve conoscere i limiti di costruibilità della tecnica del momento, per non cadere nella non rara assurdità,

di progettare opere, o parti di esse, non realizzabili ; senza essere un esperto calcolatore deve saper ideare strutture efficienti e proporzionarle, in linea di massima, dando loro quei rapporti e proporzioni che le rendano di per sè «architettoniche»; senza essere capace di calcolare il diametro e i dettagli di un impianto di riscaldamento deve saperne scegliere il tipo, le caratteristiche fondamentali e guidare gli specialisti che lo eseguiranno; e cosi via per tutte le Innumerevoli tecniche e tecnologie che, In forma ogni giorno più complessa, compongono l'opera edilizia.

Nè si deve dimenticare che le nuove tecniche del ferro, del cemento armato, delle leghe leggere e delle materie plastiche, hanno annullato le secolari esperienze delie murature in pietra o mattoni, cosicché anche i problemi più semplici quali la tenuta di un infìsso, la buona conservazione delle pareti esterne sotto l’azione degli agenti atmosferici, l'ovviare alle conseguenze dannose delle variazioni termiche esaltate dalla sensibilità dei nuovi materiali e dalle maggiori dimensioni degli edifìci, presentano altrettante possibilità di spiacevoli conseguenze, più che sufficienti ad annullare valori estetici o formali.

Come apprezzare l'eventuale bellezza compositiva di una facciata che dopo pochi anni presenti l'aspetto fatiscente, che hanno non poche delle recenti costruzioni ?

Evidentemente il futuro architetto dovrà anche formarsi una solida base concettuale relativa ai problemi funzionali, e sopratutto a quelli di carattere più specificatamente umano, nel senso che, a partire dall'unità di vita famigliare fino ai grandi complessi cittadini, ogni opera edilizia deve concorrere alla formazione di un ambiente adatto ad una vita ordinata e per quanto possibilie liberata da inutili fatiche, da irritanti costrizioni, o da grossolane volgarità.

Un ambiente che in una parola possa compiere una muta, costante azione educativa, la cui efficacia è dimostrata dalla differenza di contegno che spontaneamente la folla assume in relazione al carattere di ciò che la circonda.

Accennando a questo settore dell'Architettura, meno tecnico o per lo meno di una tecnica non basata su dati materiali, mi pare che ben più seri sforzi di quelli che si stanno facendo, e studi, e ricerche, dovrebbero farsi per facilitare lo svolgersi della vita nelle grandi città, e nelle nostre in modo particolare.

Non si comprende ad esempio come, fermo restando un sacro rispetto per le zone storicamente più interessanti delle antiche città, definite con una ideale invalicabile barriera, non si potrebbe, per ie rimanenti, togliere i limiti di altezza, e permettere che gii attuali volumi edilizi si sviluppassero in senso verticale, riducendo di altrettanto l'occupazione pianimetrica.

L’altezza è la vera conquista dell'attuale tecnica edilizia, ed è la sola che può impedire che le grandi città assumano inumane dimensioni, nè si vede perchè le antiche zone cittadine, rispettate con autentico, sincero amore, dovrebbero essere menomate dalla vicinanza di alti edifìci, tanto più distanziati tra loro, quanto più alti e che darebbero luogo a spazi liberi nei quali la circolazione dei mezzi pubblici e privati potrebbe svolgersi ordinatemente, pur lasciando, probabilmente, la possibilità di aggiungere qualche riposante giardino, o recinto verde per giuochi infantili.

E come misurare il progresso umano e civile che deriverebbe dall'eliminare I sacrifici, le perdite di tempo, le cause dì irritazione, di nervosismo, di astiosità contro tutto e contro tutti, regalate giornalmente a milioni di uomini dai lunghi, scomodi, viaggi in mezzi di trasporto stipati ai limiti della loro capacità, e circolanti a stento, in una serie di arresti e lente riprese, per vie irreparabilmente inadatte al traffico?

Come pretendere che questi uomini giunti finalmente in alloggi, il più delle volte funzionalmente infelici o affacciatisi su tristi cortili, possano immediatamente ritrovare la tranquillità di spirito necessaria al formarsi di un sereno ed educativo ambiente famigliare ?

XXV

XXVI

É evidente che se lunghi studi sono necessari per avviare e portare a termine una riforma delle scuole di Architettura che le renda atte a formare la sintetica mentalità tecnica, artistica e di piena comprensione delle necessità umane, indispensabile al vero e completo Architetto, qualcosa si potrebbe già fare per ridurre la innegabile confusione che oggi esiste In campo architettonico, e di cui è eloquente testimonianza la incoerente varietà di progetti che si possono osservare in occasioni di grandi concorsi internazionali.

Ma più significativo e chiaro sintomo di più grave disorientamento sono i molti progetti, troppo fantasiosi, che vengono presentati a concorsi o ripresi da Riviste di Architettura, senza alcuna seria documentazione tecnica che ne dimostri la realizzabilità, e di cui non saprei trovare più eloquente esempio del ben noto studio di grattacielo di 1600 m di altezza presentato, sotto l'autorevolissimo avallo del grande nome di F.L. Wright.

Non affermo (pur esprimendo le più ampie riserve) che tale opera sia oggi assolutamente ineseguibile, ma l'autentica importanza di una cost rivoluzionaria ideazione, sarebbe consistita nel farne vedere, non solo l'aspetto esteriore, ma nel dimostrarne con dati tecnici inoppugnabili, la possibilità di realizzazione in ragionevoli condizioni di costo, oltre che di buona funzionalità Interna, e di perfetta stabilità.

Altrettanto assurdo, e fuori della realtà costruttiva, è il fatto che sia nelle modalità dei concorsi, e nella pubblicazione critica di progetti o di opere realizzate, o infine nella atmosfera culturale delle Facoltà di Architettura, il fattore economico sia quasi sempre trascurato quasi che l’architetto, anziché nel vivo della vita sociale, dovesse operare nell'ambiente di superiore distacco verso la materialità delle questioni economiche, nella quale operano gli altri artisti.

Ogni fatto architettonico, grande o piccolo che sia, nasce per una precisa funzione pratica e coinvolge valori economici, a volte rilevantissimi.

Non solo è regola generale che qualsiasi attività umana debba ottenere un buon rendimento, ma se si considera che il costruire è una delle fondamentali attività del nostro tempo, il rispetto del fattore rendimento, inteso in senso largo e non di strettissima e ragioneresca economia, diventa un preciso dovere per tutti, progettisti e committenti.

Ogni concorso dovrebbe quindi richiedere esatti e responsabili estimativi, compilati su prezzi unitari allegati ai bando, e controllati in fase di giudizio, con irrevocabile eliminazione dei progetti i cui estimativi risultassero errati oltre un certo limite.

Il committente o l'amministrazione che sceglie un progetto, ha non solo il diritto, ma lo stretto dovere verso se stessa e verso la comunità, di mettere sulla bilancia, oltre alle qualità funzionali ed estetiche dei singoli progetti, anche la relativa realistica previsione di costo.

Ma il punto più importante resta pur sempre quello di ottenere che i progetti prescelti, nei concorsi siano: tecnicamente corretti ossia rientrino nei limiti e nelle possibilità della tecnica del momento (sia pure la più progredita), tanto nella sostanza statica e costruttiva, quanto nelle varie attrezzature tecniche che ne assicurano il regolare funzionamento interno.

É quindi indispensabile che nelle commissioni giudicatrici dei concorsi siano presenti esperti nei vari campi della tecnica edilizia e particolarmente in quello statico-costruttivo che, a causa della sempre crescente dimensione degli edifìci, va ogni giorno acquistando una più diretta azione determinatrice ed architettonica.

A parte questa maggiore valutazione dei dati obiettivi tecnici ed economici, sia nel giudizio preventivo, che nella eventuale presentazione critica di opere costruite, ritengo che un sensibile ed immediato progresso verso la lontana meta della riunifìcazione dell'« Arte e delia tecnica del costruire » potrebbe ottenersi da una più diffusa collaborazione, In fase di progetto, tra architetti ed ingegneri intendendo ancora una volta con

\

queste due qualifiche la funzione e non il titolo connesso con il diploma di laurea.

Collaborazione che deve basarsi non solo sulla unione di capacità complementari, ma, sopratutto, su una reciproca comprensione e stima, e su una visione del fatto architettonico, sostanzialmente identica, se pure guardata da due diversi punti di vista.

Posso dire, per esperienza personale, che collaborazioni fatte in queste condizioni danno grande soddisfazione e buoni risultati.

Nel quadro di queste considerazioni mi sembra opportuno il tentativo di gettare uno sguardo sul probabili sviluppi del costruire nel prossimo domani.

É fuor di dubbio che le caratteristiche tecniche più determinanti del costruire di oggi sono: la pre-fabbricazione, che si sta via via estendendo, dalle costruzioni industriali e dalle grandi strutture, all'edilizia residenziale; la conquista dell’altezza e la possibilità di grandi luci libere per ambienti destinati a spettacoli, a lavorazioni industriali, ad aerostazioni, o per giganteschi ponti e viadotti.

I limiti dimensionali in altezza e luce libera, oggi raggiungibili con una tecnica di alta qualità, ma non eccezionale, sono in entrambi i casi, a parte i ponti sospesi, dell'ordine di due a trecento metri.

La pre-fabbricazione, in tutti i campi costruttivi, ma particolarmente nell'edilizia residenziale condiziona strettamente la progettazione, che deve essere prevista e sviluppata in ubbidienza a necessità esecutive del tutto specifiche dei procedimenti realizzativi, ed incomparabilmente più vincolanti di quelli della costruzione tradizionale.

Ogni elemento, anche il più piccolo ed apparentemente insignificante, deve essere previsto; le dimensioni di pareti, solai, devono essere unificate o rigorosamente modulate; ogni parte del complesso mosaico che verrà a costituire l'edificio deve essere eseguibile In serie nel modo più conveniente e potersi collegare esattamente, e con semplici e validi dispositivi, con i contigui.

La sola possibilità di differenziazione tra i prospetti di un gruppo di edifìci pre-fabbricati, è data da giuochi cromatici, o da variazioni dimensionali nei limiti concessi dall'aumento o diminuzione del numero di elementi tipici uguali tra loro.

II progettista di un complesso di edifìci prefabbricati dovrà quindi, a parte la subordinazione di ogni parte dei futuri edifìci a necessità costruttive particolarmente severe, cercare la espressività architettonica in direzioni del tutto differenti da quelle seguite nei secoli passati e in gran parte anche oggi.

Il problema del singolo bel prospetto, basata sulla composizione di pieni e vuoti, e su decorazioni di finestre, cornici, cornicioni, sparirà dalle possibilità costruttive, per essere sostituito da criteri compositivi di insieme, dall'accuratezza di studio degli elementi fondamentali, e da effetti cromatici facilmente ottenibili incorporando agli elementi pre-fabbricati opportuni rivestimenti.

Ad ogni modo, e senza scendere in particolari, è fuor di dubbio che in tutto il campo pre-fabbricativo, il collegamento, per meglio dire la sintesi, tra forma e sostanza del costruire deve essere assoluta e funzionante fin dall’Inizio della progettazione.

Qualcosa di analogo, se pure per altri motivi, avviene nel campo delle grandi dimensioni.

Sia l'altezza, che le forti luci libere, pongono oggettivi problemi strutturali, statici ed esecutivi, che non possono essere ignorati all’atto del formarsi della prima idea risolutiva.

Ma a parte il fatto che è impossibile correggere in corso di ulteriori studi una concezione statica errata, sta la constatazione, che mi permetto di affermare in modo categorico, che la naturalezza, la logica semplicità statica, In una parola la correttezza dello schema di una grande struttura sono l'Indispensabile partenza per ulteriori sviluppi ed affinamenti formali dai quali è lecito e possibile attendersi la trasformazione della pura tecnica in pura bellezza.

In una grande opera la struttura assume cosi notevoli dimensioni da non essere più nascondale, in tutto o in parte, con rivestimenti o sovrapposizioni e, si voglia o no, ne diventa l'elemento architettonico predominante e determinante.

Ancora una volta tecnica ed arte si ricongiungono in una inestricabile unità, quella stessa unità che nella limitezza dei mezzi costruttivi, e dei materiali del lontano passato, ritroviamo nelle grandi opere dei romani, dei gotici, o del rinascimento.

É infatti evidente che la cupola di 40 metri dì diametro di Santa Maria del Fiore rappresentava, per il Brunelleschi, un problema tecnico paragonabile a quello che oggi offrirebbe una cupola in cemento armato di 400 metri.

Le meditazioni, i pensieri, gli studi, l'insuperabile sforzo di intuizione per penetrare nell’Intimo di un così eccezionale problema costruttivo, che tormentarono Brunelleschi per oltre 10 anni, dimostrano a quale perfetta sintesi di tecnica e di arte Egli fosse pervenuto e come un aspetto del problema fosse stimolo e punto di partenza dell’altro, in una concatenazione di cause e conseguenze di cui è impossibile scindere gli elementi.

Nei mutati ordini di grandezza dei problemi e dei mezzi tecnici attuali i rapporti tra la tecnica e l’estetica delle grandi opere restano gli stessi.

La tecnica deve dare l'indirizzo perchè è basata su realtà obiettive contro le quali è vano e sciocco volere opporsi.

L’unica possibilità di portare queste realtà assolute, non umane, al nostro servizio è data dalla loro approfondita conoscenza perchè le leggi statiche non si comandano se non ubbidendole.

L’architetto inteso come ideatore di una grande struttura non dovrà sviluppare calcoli rigorosi, e correre il rischio di smarrire la visione complessiva del problema lasciandosi attrarre e distrarre da affascinanti sviluppi di alta matematica, ma dovrà conoscere così profondamente la realtà statica da poter scegliere lo schema resistente più opportuno e attraverso ipotesi semplifìcative verificarne, con sufficiente approssimazione, le sollecitazioni interne e dimensionarne in conseguenza gli elementi principali.

Per esperienza personale posso assicurare che con una sufficiente base di conoscenze teoriche del mondo statico, queste semplificazioni sono sempre possibili e permettono con rapide verifiche numeriche di controllare il progressivo sviluppo ideativo di una grande struttura.

I calcoli esatti, le verifiche sperimentali su modelli verranno poi e potranno essere affidate a specialisti, ma l'architetto dovrà comprendere e seguire l'opera di questi, ed intervenire personalmente nella definizione di quei particolari formali, tanto importanti ai fini della espressività architettonica, e che sempre restano liberi.

Mi sembra anche importante richiamare l'attenzione sul fatto che proprio dalle istanze statiche, si possono ottenere quel suggerimenti formali, che l’architettura muraria ha preso fin dal più lontano passato dalle istanze costruttive ; suggerimenti che offrono una inesauribile fonte per la definizione di dettagli e sagomature di travi, pilastri, nervature, che possono dare una viva espressività formale alla pura tecnica statica, inevitabilmente rigida e fredda.

Prima di chiudere queste note mi sembra opportuno fare qualche considerazione sugli aspetti formali o per meglio dire sullo stile del costruire del prossimo e del lontano domani.

La rivoluzionaria trasformazione che in pochi decenni ha mutato la società umana in modo ben più radicale di quanto avessero ottenuto la lenta evoluzione e il susseguirsi di civiltà e di eventi per decine e decine di secoli, ha avuto inizio con lo sfruttamento e quindi con l'inserimento nelle nostre attività tecniche e produttive di energie meccaniche, in quantità ognora crescente, e senza possibilità di confronto quantitativo con quelle a disposizione dell’umanità dal tempo degli Egizi fino alla metà circa del secolo scorso.

Ma ogni qualvolta ci avviciniamo ad energie o a leggi naturali per metterle al nostro servizio, veniamo a contatto di entità che sono al di là di ogni

nostra volontà e che a loro volta ci impongono ferree condizioni alle quali è giuocoforza obbedire.

Cosi appena raggiunta, attraverso l’energia termica, la possibilità di alte velocità in terra, in mare o In aria, si è immediatamente constatato che, per ottenerle bisognava dare ai mezzi di trasporto forme ben definite, estranee alla nostra fantasia ; forme da scoprire per via sperimentale, ubbidendo a quelle stesse leggi della resistenza all'avanzamento nei fluidi, che, nella baldanza della raggiunta potenza meccanica, sarebbe sembrato possibile trascurare.

L’evoluzione degli aerei iniziatasi con una grande varietà di forme è andata via via modificandosi secondo le indicazioni ricavate dalle ricerche sperimentali, in un progressivo, se pure assintetico, avvicinamento alla forma-tipo, che non è più invenzione di uomo, ma perfetta ubbidienza dell’uomo a qualcosa che è al di là e al di sopra di ogni sua volontà e che non cambierà mai più.

E cosi per le forme degli scafi delle navi veloci, per i veicoli e per tutte le realizzazioni che sfruttano o creano potenti dinamismi, o mettono in giuoco equilibri di forze e di resistenze di materiali, in una parola di creazioni che, appoggiandosi a leggi naturali, servono a fini umani.

La forma di un grandissimo arco, lo schema strutturale di un altissimo edifìcio non possono essere piegati a desideri formali arbitrari e non possono diventare realtà se non come armoniosa composizione di elementi obiettivi, ognuno dei quali deve essere accettato come un inoppugnabile dato di fatto.

Si deve anche osservare che i vincoli alla fantasia creatrice, vanno ogni giorno aumentando anche per esigenze tecnico-economiche connesse alle grandi produzioni di serie, che per essere basate sullo stampaggio, sulla fusione, o in genere su operazioni semplici e meccanicizzate, limitano decisamente l'aspetto degli oggetti di uso più comune.

La ricchezza di forme proprie delle lavorazioni a mano del passato che si ritrovava nei mobili, nelle decorazioni degli edifìci, nelle suppellettili e che, nella libertà formale concessa a navi e mezzi di locomozione dalle limitatissime velocità, si estendeva alle fastose decorazioni dei grandi vascelli o delle ricche berline, è perduta in modo irrevocabile ed irreversibile.

Non perciò sarà menomata la possibilità di perseguire ed ottenere in ogni campo, e particolarmente in quello architettonico, quella espressività estetica, affidata ad armonia di proporzioni, a finezza di dettagli, a effetti cromatici e a sapiente uso dei materiali, in modo del tutto analogo di quanto è sempre avvenuto nel quadro degli stili del passato, ognuno dei quali ha visto opere insigni a fianco di altre banalissime.

Assistiamo al formarsi e al progressivo diffondersi di un nuovo stile i cui più specifici esempi, dai grandi aerei alle navi veloci dalle automobili da corsa ai potenti locomotori, dai grattacieli ai ponti e viadotti, dalle pre-fabbricazioni in serie di oggetti ed abitazioni al predominante strutturalismo dei grandi ambienti; hanno in comune l'essenzialità delle forme, un'ordine intrinseco, l'assenza di vistose ed arbitrarie sovrapposizioni decorative, la chiarezza concettuale, elementi tutti che concorreranno alla formazione di ambienti famigliari e cittadini funzionali, ordinati e sereni, premesse indispensabili per una migliore umanità di domani.

Prof. Pier Luigi Nervi Van den Broek e Bakema

(pagina 6)

nella luce della storia e tradizione dell'architettura olandese.

Chi percorra in barca a vela i canali di questo paese, si renderà conto di come le grandi file d'alberi che li fiancheggiano, incornicino e limitino gli spazi.

È questo un paesaggio foggiato dalla mano dell’uomo:

il contadino dovette assennatamente piantare pioppi e scavare fossati, acqua e vento furono domati e piegati al servizio dell'uomo, poco fu lasciato al caso, gli elementi costringevano all'ordine e a dura disciplina, trascurarli avrebbe significato distruzione per uomini, animali e terra.

Cosi, nel corso dei secoli, le nebbiose pianure invase dall'acqua e battute dal vento, si trasformarono nell'odierno tipico paesaggio di culture.

Le città sorsero secondo leggi analoghe: i canali per il trasporto di uomini, animali e merci, fiancheggiati da file d’alberi che hanno anche qui la funzione di proteggere dal vento; le case strette dalle grandi finestre per permettere alla luce di penetrare, abbondante, nei locali profondi ; dietro le case, i cortili che facilitano la vita allo aperto al riparo dal vento ; le stanze allungatesi dalla strada al cortile, danno un senso di vastità malgrado lo spazio ristretto e le grandi finestre sprovviste di tende, attestano libertà e franchezza nei rapporti con i vicini.

Questo mondo si è formato attraverso i secoli.

Oggi incalzano nuove misure e nuove regole, ma si sviluppano con il senso del vasto e dell'angusto, il senso del ritmo degli spazi, sono improntate dall’amore dell'ordine e dall'esperienza quotidiana di aperto e chiuso nello spazio e nella società.

Nella vita sociale e politica si sovrappone a questa tradizione un puritanesimo calvinistico, la cui influenza si fa sentire anche oltre la sfera della comunità religiosa calvinistia.

Benché la sua vita sociale si svolga esclusivamente in seno alla famiglia ed alla comunità religiosa, l'olandese è sempre aperto di fronte ai problemi nazionali. La lotta secolare contro l'acqua è un fatto storico ancor presente alla coscienza degli uomini di oggi e tale da renderli capaci di grandi sforzi in altri campi e nell'interesse comune : i lavori di prosciugamento del mar di Ijssel, la realizzazione di dighe gigantesche, lo sfruttamento agricolo del terreno con mezzi industriali, il piano regolatore di città e campagna.

Qui, il piano regolatore delle città non viene considerato come una poco gradevole ma necessaria manipolazione da parte delle autorità, bensì come mezzo per foggiarle in modo che la vita vi sia facilitata. Questo criterio non data soltanto dal grande incremento della popolazione ma vive in una coscienza nutrita di tradizione.

Tale tradizione urbanistica ha sicuramente contribuito al fiorire dell'architettura olandese dal 1880 ad oggi.

L’opera di van den Broek e Bakema rientra perfettamente in questa sfera culturale e sociale.

Un'altra caratteristica sta nel fatto che, fin dall'inizio della nuova architettura, uno sviluppo continuato e personale, estendentesi a tre generazioni, precedette l'odierno studio di architettura di van den Broek e Bakema. I predecessori furono Michiel Eriniamenn, suo figlio Johannes Andreas (nato nel 1902) e Leendert C. van der Vlugt (nato nel 1896).

L'opera dei due architetti differenti fra loro quanto a origine, aspetto, temperamento, spirito e generazione, è cresciuta sotto gli auspici di una grande tradizione e nella comprensione delle nuove esigenze urbanistiche e sociali. Essa si può definire come direttiva poiché indica vie atte all'adempimento dei nuovi compiti che si impongono, includendo, al tempo stesso, la tradizione di un paesaggio foggiato dalla mano dell'uomo in lotta con gli elementi, le tradizioni di gente abituata a dar forma e legge allo spazio, le tradizioni, infine, che hanno radici negli obblighi sociali e religiosi.

Per van den Broek, un edifìcio non è tanto un monumento quanto un organismo; secondo lui un compito architettonico può considerarsi risolto soltanto quando siano appagati non solo i desideri individuali ma pure le esigenze del convivere umano.

«Questo modo di considerare le cose rende necessaria un'acuta analisi del compito architettonico ai fini di conoscere a fondo l'organismo ed appurare il posto e il peso della vita in comune nell'organismo stesso ». Questa è « nuova oggettività » I « La novità di questo concetto consiste appunto nel non accontentarsi dell'oggettività in sé, ma nel voler esprimere l'idea più profonda del fabbricato in quanto organismo.

Poiché l'idea risulta da una più profonda comprensione del fine cui è destinato l'opera, e insisto su questo «più profonda». Questa definizione che mi sembra la più bella e più atta a caratterizzare le tendenze della nuova architettura non è dovuta, mi vergogno quasi a dirlo, a un architetto ma a un pastore che la formulò nel 1906 ».

La nuova architettura non è condizionata esclusivamente da esigenze materiali, si sforza anzi, con amore, di appagare più generali esigenze umane. Si tratta di « un compito educativo che si basa sul concetto di relazioni ed esperienze cosmiche... In sostanza anch'essa (l’architettura) è un misurarsi con l'infinito, una ricerca di armonia con l'infinito, aspirazione che è in fondo il fine e l'essenza di tutte le arti ».

Qualora si esamini la letteratura olandese, riferentesi all’archittetura, degli ultimi 15 anni, vi si incontrano alcune « esplosioni », e sempre Bakema vi partecipa. Qual'è il contributo essenziale di Bakema in questi dibattiti? Egli si sforza di preservare l’equilibrio tra intelletto e sentimento promosso dal movimento degli «Stijl» e di esprimere nella sua opera la simultaneità delle cose.

Il suo pensiero si appoggia alla filosofia di Bergson : « ... D’abord je constate que je passe d'état en état... ». L'immagine predominante non è più quella di un universo di forma gerarchica e immutabile, ma quella di un mondo il cui aspetto muta costantemente. Non è quindi più soltanto l'uso cui è destinata una casa o una città che determina il progetto dell'architetto, bensì in ugual misura, i rapporti esistenti tra le diverse funzioni.

Quello che c'è fra le cose ha la medesima importanza delle cose stesse. L'architetto deve « sforzarsi di immettere nella sua opera la totalità della vita, anche quando sieda a una tavola con I diversi specialisti ». « Non vale più soltanto il fatto che 1+1=2; più importanti sono le circostanze che conducono alla scelta della cifra ». « La brama di coerenza è innata nella natura umana allo scopo di proteggerla dal fortuito. La ricerca degli sfondi, delle correlazioni, della continuità e unità non è dunque un lusso ma una necessità ». « Giungiamo all'architettura, esperimentando personalmente quanto avviene nell'uomo e nella natura». I rapporti della «vita totale » si possono rendere evidenti nella costruzione con l'ausilio dello «spazio totale» — dello spazio che è in costante movimento — e rispettando la conformità dei materiali impiegati e delle diverse parti della construzione (vetro, parete, pilastro, sportello, ascensore, soffitto), all'uso cui sono destinati e alla capacità umana di sentirli. Viene cosi espresso nella forma della costruzione qualcosa dei rapporti tra uomo e cosmo.

Certo, si costruisce una casa per abitarvi, lavorarvi, dormirvi. Ma la forma della casa può dare all'abitare, lavorare, dormire un significato che oltrepassa il nudo adempimento dello scopo. Si dà cosi all’architettura uno sfondo etico-religioso che deve basarsi su un contegno etico-religioso dell'architetto. Con l'aiuto di tale contegno «la tecnica che sembra voler turbare i rapporti economici e sociali nel mondo », può venir assoggettata.

Se l’architettura sarà concepita in modo da esprimere la «vita totale », verrà preservata dall 'inaridimento e dalla decorazione. La forma architettonica non esprimerà allora più soltanto funzioni, non sarà più puramente funzionale, ma diventerà funzione in sé: la funzione della forma. Cosa si intende con ciò? Si intende che la forma architettonica è in grado non solo di sodisfare il tenore di vita umano ma anche di stimolarlo e prommuoverlo. La forma non è più semplicemente conforme allo scopo, bensì è tale da condurre l'uomo XXVII

e la società umana al di là dei fini utilitari, permettendo un tenore di vita suggerito non solo da funzioni ma anche da « idee ».

Questa metamorfosi da forma della funzione a funzione della forma costituisce il contributo decisivo, teorico e pratico, di Bakema e van den Broek alla nuova architettura. La lijnbaan ne è un esempio evidente. Esemplari sono pure singoli, sorprendenti elementi che si ritrovano in tutte le loro opere e sempre servono a creare rapporti tra interno ed esterno, superiore e inferiore, particolare e Insieme, piccolo e grande.

Non è dovuto al caso il fatto che tale concezione dell’architettura sia interamente realizzabile sopratutto nell'urbanistica.

L'opera di van den Broek e Bakema è esente da atteggiamenti avanguardistici, non è basata su dichiarazioni ; si ispira non solo al nostro tempo ma in ugual misura e su larga scala a tutta la tradizione occidentale. Questo è il segno rivelatore: l’incorporazione dell'architettura moderna nel corso della storia è un fatto compiuto. La parola avanguardia ha oggi un sapore di comicità; il «Louvre» non è più minacciato da incendiari.

Pericolosi sono la mancanza di chiarezza, il rapido e continuo variare delle conoscenze e l'incertezza che ne deriva per l’uomo. Per questo il dovere di metter ordine nel caotico e di dare all'ordine una forma significativa, spetta a noi architetti, a quelli fra noi che ne hanno la forza e che sono guidati dal «vivo desiderio di chiarezza e semplicità in tutto ciò che riguarda il convivere sociale. Questa è la base, questa è la via ! Semplificazione e chiarezza e nell’arte i simboli dell'amore e della verità! »

Franz Fiieg Ombre e luci

(pagina 44)

Riccardo Neutra ha ottantanni. Ecco anche perchè l’autore stima opportuno di gettare uno sguardo sull’opera di questo grande costruttore.

Neutra ha sempre detto aver approfittato maggiormente delle conversazioni avute con I suol clienti che degli studi universitari. Ciò non significa disprezzo verso la formazione accademica, bensì maiuscolo rispetto verso I bisogni reali dell’essere umano. Neutra cominciò a studiare il modo di evitare il sole e il vento senza impedire il passo alla luce quando costruì la « Casa del deserto » nel Colorado. La sua idea di lamelle mobili di alluminio rappresenta un contributo importante all'architettura moderna. Fu preceduta da lunghe ricerche, per esempio mediante fotografie prese ogni minuto, che dimostravano lo sviluppo delle ombre e delle luci attraverso le finestre di una casa. Gli effetti di differenti illuminazioni sull'occhio umano furono pure considerati, come l’Influenza sulle spese di riscaldamento.

Idee di R. J. Neutra, secondo André Hardy

L'insegnamento del Bauhaus è ancora attuale

(pagina 70) Mentre l'industriai design sembra svilupparsi nei paesi di lingua francese, pochi si preoccupano del suo insegnamento. Ciò è dovuto in parte al fatto che la tradizione del Bauhaus si è imposta come dogma assoluto. Dato che ben trentanni sono trascorsi dalla chiusura del Bauhaus, è legittimo chiedersi se l'insegnamento di quest'ultimo è ancora attuale.

L'autore segue la storia del Bauhaus e ne spiega la dottrina. Secondo lui, esiste oggidì un divorzio inquietante fra il designer da un lato e il produttore e l’utente dall'altro lato. Per rimediarvi, occorre rivedere i principi stessi dell’insegnamento. L’evoluzione delle forze produttive esige infatti dal designer qualità che egli non può ottenere restando nel campo della tradizione del Bauhaus.

Tuttavia l'autore non ne deduce schematicamente che se l'arte non è più di un gran soccorso al designer, la scienza gli porta una soluzione miracolosa per tutti I problemi, che se l'insegnamento dell’Industria! design non è indicato nelle accademie, deve ad ogni costo essere impartito nelle scuole politecniche.

La grande lezione del Bauhaus è appunto di aver dimostrato che la formazione del designer può farsi soltanto in scuole create specialmente a tal uopo.

Prof. C. Schnaidt

Mezzo secolo di architettura moderna in Svizzera (pagina so) L'autore traccia un panorama dell'architettura elvetica degli ultimi cinquantanni.

L'era dell’architettura moderna svizzera comincia nel 1913, con la fondazione del « Schweizerischer Werkbund » e con l'architetto Altherr (1875-1945).

Nel 1914, le associazioni svizzere di architetti decidono di pubblicare un giornale, il «Werk», edito tuttora. Poi vengono l'esposizione nazionale del 1914, la costruzione dei «Kunsthaus» di Zurigo e ia prima esposizione del « Schweizerischer Werkbund». Dopo il 1920 troviamo l'influenza del «Bauhaus », nel 1927 il concorso per il palazzo della Società delle Nazioni a Ginevra, vinto disgraziatamente dagli architetti delle Belle Arti protetti dall'onnipossente Accademia parigina, ma con un premio ex equo — dopo l'intervento coraggioso del Prof. K. Moser — attribuito a Le Corbusier e a Pierre Jeanneret. Le annate 30 vedono la popolarità delle città giardino, il cui prototipo è la città Neubühl a Zurigo. Nello stesso tempo è creata a Zurigo la prima ditta per l'arredamento familiare moderno, la « Wohnbedarf S.A. ». Nel 1943 il Dott. A. Meili lancia l'idea della creazione dell'associazione svizzera per II piano nazionale e regionale. Oggidì pensiamo all'Esposizione nazionale svizzera del 1964 a Losanna.

Prof. Alfred Roth

L'architettura dell'automobile

Un nuovo Bauhaus : « L'uovo, centro di Studi »

(pagina 52)

L'autore ricorda la creazione del Bauhaus, citando il discorso inaugurale di Gropius nel 1919, e II suo declino. Un gruppo simile è stato fondato a Parigi quattro anni fa e si è fatto conoscere dal pubblico con l'esposizione sul tema della villa «Atrium», alla quale partecipavano Jacques Bertoux, René Bertoux, Roger Brusetti, Charles Glanferrari, Jean Piantanida e Jean Souchal.

Trattasi di architetti, scultori, economisti, decoratori, ecc. L'uovo fu adottato come simbolo perchè è un elemento vivo in una forma pura, logica, razionale, perchè non è soltanto la forma più riuscita, ma anche la promessa eterna della vitalità. Lo scopo dei membri del gruppo è di realizzare, e ciascuno nella sua disciplina, un’opera sempre più perfetta, senza nessuna concessione alla facilità.

Marc Gaillard XXVIII

(pagina 86) L'autore spiega come a poco a poco là fabbricazione standardizzata dei veicoli abbia reso necessaria la concezione architetturale delle carrozzerie.

Il Corbusier aveva già avuto l'audacia, nel 1920, di stabilire paralleli fra le automobili e le case.

Walter Gropius disegnò nel 1930 una vettura, le cui linee restano esemplari.

Comm. H.-F. Berchet Riabilitiamo l'architettura dei Tolomei

(pagina 94) Le costruzioni dell’epoca dei Tolomei sono una delle documentazioni più importanti sull'antica civiltà egizia. Ciò che è strano è che anche gli edifìci eretti durante l'occupazione straniera — negletti, se non disprezzati dagli specialisti — non mostrano nessun segno di decadenza. L'autore paria in modo dettagliato del tempio di Edfu e spiega che contrariamente all'opinione di molti eglttologhl non comporta Influenze ellenistiche.

Henri Stierlin

Un’esperienza che innova: Carouge 1775-1790

(pagina 104)

La cittadina di Carouge, presso Ginevra, fondata dai Re di Sardegna nel diciottesimo secolo, è architetturalmente interessante perchè sorpassa il formalismo barocco: la verdura penetra fino nel centro e attenua la differenza fra città e campagna, non esiste zona monumentale, i quartieri non sono distribuiti secondo I ceti sociali della popolazione, non vi sono fortificazioni (forma architetturale aperta), le case, quasi tutte di un piano, rispettano la dimensione umana.

André Corboz Saggio di sintesi del fenomeno urbano (pagina 120) Con statistiche, schizzi e grafici, l'autore tenta di spiegare al pubblico non iniziato i principi urbanistici : numero di abitanti paragonato alia superfìcie costruita, occupazione del suolo ideale, parti della superfìcie da attribuirsi ai bisogni individuali e collettivi, spazi verdi, ecc.

Prof. Paul Waltenspuhl Nuove stazioni turistiche di montagna (pagina 124) Il tempo sempre più grande consacrato agli svaghi, il turismo collettivo e il turismo sociale provocano un esodo della popolazione cittadina verso la montagna più importante che nel passato.

Data l'insufficienza del numero delle stazioni turistiche e del loro equipaggiamento, una pianificazione urbanistica delle regioni alpine è necessaria.

Le esperienze fatte nel Vallese, nella Gruyère (Svizzera) e nella Savoia francese mostrano che I criteri da considerare per la creazione di nuove stazioni sono : — la qualità e l'importanza del terreno sciabile — il clima — le strade d'accesso — l'espansione economica di una regione che sta spopolandosi — la certezza di poter assicurare una doppia stagione turistica estate-inverno.

Prof. André Gaillard Le concentrazioni urbane della scuola di New York (pagina 130) I primi grattacieli non hanno risolto I problemi relativi alla congestione, alla luce, all'aria, allo spazio e alla vita non professionale. Negli anni 50 soltanto furono fatti i primi tentativi d’introduzione di spazi verdi, di bacini d’acqua e del plaza coperto. Però, la vera e propria partenza del grattacielo urbanistico è già il Rockefeller Center (19311937-1940). Dopo la seconda guerra mondiale si pensò al servizi annessi e l'esperienza più dinamica ne è stata il palazzo della Connecticut General Life Insurance, fra Hartford e Bloomfield, dunque urbanisticamente decentralizzato. Il Lincoln Center for the Performing Arts, in costruzione, sorpassa tutti gli altri per la varietà dei volumi e dell'espressione e introduce la tridimensionalità.

Prof. H. F. Lenning

Verdura nei cimiteri

(pagina 136) L'autore analizza lo studio delle piantagioni nei cimiteri, che decompone in tre fasi: I primi studi, durante I quali occorre pensare in tre dimensioni tenendo conto dei colori ; il progetto e la prima selezione delle piante; l'esecuzione con la scelta definitiva dei vegetali e della loro ripartizione.

Bisogna fare attenzione alle diverse Incompatibilità fra tombe e alberi e pensare alle stagioni, affinchè l’inverno, per esempio, non denudi completamente la composizione. Il problema dei fiori è importante, poiché è necessario evitare gli effetti chiassosi e una troppo grande diversità di colori in uno spazio ristretto.

Prof. Robert Auzelle

Verso l'era delle strutture tese

(p. 146)

Il sistema delle strutture sotto tensione ha permesso, passando dalle catene ai cavi filati, delle realizzazioni fantastiche come i ponti di Brooklyn e di Golden Gate. Ma anche le volte sono state influenzate e basta citare il Padiglione americano dell'architetto E. Stone all’esposizione internazionale di Brusselles nei 1958. Dal 1956 ci si interessa alle doppie reti (doppia membrana formata da reti di cavi triassiali tesi su un telaio rigido), che possono essere utilizzate per riflettori radar di grandi dimensioni, per esempio.

Sappiamo che i modelli sono essenziali per l’insegnamento. Il filo d’acciaio permette appunto di ottenere abbozzi resistentissimi anche se molto ridotti.

Inoltre, le strutture tese hanno il vantaggio della chiarezza architetturale, dell'economia di peso e di mano d'opera. Ma anzitutto, esse sembrano permettere la realizzazione di progetti considerati finora chimerici causa le loro dimensioni.

Prof. R. Le Ricolais Le possibilità di costruzione offerte dalle materie plastiche (pagina 150) L'esposizione nazionale svizzera del 1964 ha offerto possibilità ideali di creazione di strutture originali, costruite con materiali nuovi. Dato il breve periodo di utilizzazione, le materie plastiche si sono subito imposte. Fu dunque deciso di erigere un edificio di vaste dimensioni in materiale sintetico e l'esperienza è stata concludente.

L'autore spiega In modo dettagliato le qualità e la superiorità del plastico per certe costruzioni, il suo prezzo e le difficoltà che devono essere superate.

Ing. H. Hossdorf

Città asismiche

(pagina 154)

Gli ultimi grandi terremoti hanno richiamato l'attenzione sulle tragiche conseguenze di questi fenomeni naturali. Il giovane architetto francese Paul Maymont ha studiato la possibilità di costruire «asismicamente», ossia di erigere edifici resistenti alle scosse telluriche. Dopo un soggiorno nel Giappone, ha avuto l’idea di costruzioni riposanti su materassi d’acqua, isolati essi stessi da alveoli riempiti d'aria.

Maymont si è pure interessato alle città sahariane, che propone di costruire al di sopra del suolo per evitare l'insabbiamento. L’energia sarebbe fornita da batterie solari e l'acqua da pozzi aerei, che permettono di ricuperare di notte il liquido contenuto nel sottosuolo e nella sabbia.

Gli ultimi studi di Maymont sono quelli di città tecniche sotterranee (Parigi, Londra, Roma, Mosca, Toronto, Chicago, Seattle, New Orleans), quello dell'estensione di Rio de Janeiro sulla baia, quello di una città acquatica a Hong-Kong, dove urge creare spazi abitabili, quelli per Agadir, le città olandesi e Venezia, quello infine di una città tecnica sottomarina presso la penisola di Manhattan.

Marc Gaillard

Concorso nazionale per un piano di larga massima del nuovo centro direzionale della città di Torino (p.

244)

Primo premio: Mario Bianco, Gabriella Esposito, Roberto Maestro, Sergio Nicola, Antonio Quistelli, Ludovico Quaroni, Nello Renacco, Aldo Rizotti, Augusto Romano (con la collaborazione del CRIS) « La posizione dei nuovo centro direzionale è quasi ideale. È a soli 1500 metri dalla stazione di Porta Nuova e da via Roma, a soli 1800 metri in linea d'aria da piazza Castello, a soli 1000 da piazza Statuto. L'area è già lambita dalla linea ferroviaria che collega Torino all'intero hinterland italiano ed alle prossime frontiere francese e svizzera. E bisogna tener conto di quello che sta

per essere Torino in un'Europa unita, di grande e crescente potenza economica. Al Centro fanno capo le maggiori strade cittadine est-ovest, due grandi strade nord-sud; ma è anche prevista dal P.R.G., lungo il suo limite orientale, la costruzione di una «express-way», strada di scorrimento interno veloce ad incroci su vari livelli che collegherà il centro con le autostrade nord e sud e con l'aeroporto... non crediamo che sia facile trovare in altre città una situazione altrettanto favorevole ».

Gli architetti si sono proposti di evitare certi difetti e certe soluzioni che ritengono inadeguate: i nuclei edilizi selezionati per settori di attività, per es. i soli uffici direzionali, perchè questi rimarrebbero deserti per diverse ore ; la diluizione delle costruzioni nell’area, perchè si allungherebbero i percorsi pedonali e si perderebbero i fuochi di interesse; la ripetizione di elementi architettonici singoli, perchè produrrebbe monotonia; le grandi piazze e vie monumentali, perchè sono retoriche; i parcheggi in grandi aree libere, perchè sono sgradevoli e scomodi; ogni impostazione che riduca il tema urbanistico ad un tema semplicemente architettonico con un unico episodio.

Hanno mirato a risolvere I numerosi problemi particolari che il tema propone, e nello stesso tempo a suggerire un organismo che tenga conto delle numerose esperienze compiute all’estero, ed eventualmente le superi. Ma insieme hanno voluto rispondere all'esigenza culturale di un «town-design» adeguato ai tempi, e non solo alla «quantità» della vita moderna, ma anche alle «qualità» della Torino di oggi.

Sono previsti tre nuclei : un nucleo centrale, più grande, destinato alle funzioni direzionali essenzialmente private, commerciali, ricreative, strettamente legate all’utilizzazione del tempo libero di chi lavora o si reca nel nucleo; un nucleo nord, per le funzioni più propriamente amministrative; un nucleo sud, destinato prevalentemente all'ospitalità (alberghi e alberghi residenziali, centro congressi) e alla residenza. I tre nuclei saranno collegati dalla ferrovia metropolitana e da un sistema pedonale in parte meccanizzato, specie per quanto riguarda i collegamenti tra il nucleo sud e quello centrale, che può avvenire all’aperto attraverso II grande parco e al chiuso attraverso il viadotto. Il Centro è legato alla città e al territorio mediante la rete di comunicazione sopra accennata, i cui rami si addentrano variamente in esso. La circolazione ed il parcheggio verranno organizzati adeguatamente su diversi piani, per la più parte sotterranei.

L'architettura dei tre nuclei è volutamente ben caratterizzata. Il nucleo centrale (direzionale propriamente detto) presenterà grattacieli da 120 m.

nascenti organicamente da pozzi variabili, sorgenti entro un sistema edilizio a piastra modulata, alta dai 25 ai 30 m. nelle parti più elevate e forata in più punti per creare aperture prospettiche. La piastra degrada tutto intorno con un sistema di ampie terrazze e spazi erbosi. La forma di questa «acropoli» è variamente modulata: ma l'articolazione pianimetrica dei grattacieli rispetterà le due direzioni ortogonali tipiche di Torino. Nel secondo nucleo, a nord, sorgeranno fabbricati a terrazze orizzontali di 35 m. nel punto più elevato, degradanti verso sud e conclusi da una lastra piana che ha la funzione di legare i due nuclei, moderno «foro» o «agorà». L’architettura dei nucleo residenziale, Infine, nasce direttamente dal prato verde del parco. I volumi, di altezza variabile, non supereranno I 35 m., e saranno molto diversi fra loro, tutti su pilotis o nascenti da piastre a giardino sollevate pur esse. Anche qui le architetture saranno rigorosamente controllate, per rieccheggiare, sia pure in altre dimensioni e con diverso carattere, certi aspetti degli altri due.

« La volumetria dell'intero sistema vuol rispondere a tutti i requisiti prospettici voluti dalla particolare ubicazione del complesso e delle sue varie parti. Il Centro direzionale sta infatti alla metropoli come la « piazza » sta alla città medioevale italiana ... le leggi compositive del contrasto dominano nell’uno e nell'altro; caso : colori, dimensioni, spirito saranno diversi sotto uno stesso cielo,

sullo stesso sfondo lontano delle montagne.

L’orditura cartesiana unisce tutto, la città e il suo centro, acropoli della vita moderna... ».

Istituto biologico di ricerche, Ivrea (p.

246)

Alberto Galardi, architetto L'Istituto biologico di ricerche Marxer di Ivrea si compone di quattro nuovi edifici con una superfìcie totale de 10 000 mq. I quattro edifici sono destinati a:

1. Laboratorio di ricerca; 2. Stabilimento; 3. Laboratorio di sintesi ; 4. Portineria e locali per gli impianti tecnici.

Tutti gli edifìci sono collegati fra loro da una maglia di canali sotterranei percorribili da mezzi meccanici.

Per ragioni geologiche gli edifìci sono poggiati su platea di fondazione. La struttura è interamente in cemento armato, I solai sono incrociati, gii esterni sono in cemento armato a facciavista, particolarmente curati ed ottenuti con casseri di legno piallato e spalmati con apposito sapone disarmante.

i serramenti sono in alluminio anodizzato con cristalli infrangibili tipo Vis-Securit.

Oltre all'alluminio sono state usate finiture metalliche in acciaio inossidabile.

La illuminazione è zenitale, realizzata con cupole in perpex poggianti su cilindri frangisole, realizzati fuori opera in cemento armato.

Le pareti divisorie sono realizzate in allumìnio, cristallo e formica.

I pavimenti e le pareti divisorie Interne (in muratura) sono rivestite in gres ceramico in varie tonalità di azzurro.

I doccioni, la fontana ed altri dettagli di particolare interesse sono stati realizzati mediante getto in calcestruzzo fuori opera con casseri in gesso.

II fabbricato è circondato da un giardino la cui superfìcie è di 70 000 mq. circa e la cui soluzione è stata concepita e curata unitariamente con la costruzione.

Particolarmente interessante è l'inserimento dell'organismo architettonico nel paesaggio subalpino.

Lettera d’Italia: le Arti

(pagina 261)

La difficoltà in cui è venuta a trovarsi attualmente la pittura in tutto il mondo, volendo reagire alla situazione precedente, pesa sulla situazione generale della cultura italiana: è per questo che, nel campo delle arti plastiche, le esposizioni più importanti di quest'anno non sono state dedicate all'arte moderna (anche la Biennale di Venezia, d'altronde, non poteva aver luogo nel 1963), bensì all'arte antica. Due mostre di arte contemporanea, tuttavia, sono da ricordare: quella ordinata a Venezia nel Palazzo Grassi dal Centro Internazionale delle Arti e del Costume, e che si intitolava, in omaggio alla pittura più recente, « Visione e colore » ; e la Biennale di San Marino, dove è apparsa vittoriosa la corrente detta della «nuova visione», che si basa su dati ottici di natura scientifica. Innumerevoli esposizioni per i premi annuali o per retrospettive di gruppi o correnti che hanno avuto una certa Importanza, vi sì sono affiancate in tutta l’Italia.

Nel campo dell'arte antica, ricordiamo la prestigiosa esposizione del Carpaccio ordinata a Venezia nel Palazzo Ducale durante tutta l'estate, e la contemporanea mostra del Barocco Piemontese che ha occupato a Torino il Palazzo Reale, il Palazzo Madama e la Palazzina di caccia di Stupinigi. A Modena, In primavera, erano stati esposti i tesori dei musei locali, per lo più provenienti dalle raccolte estensi ; e in occasione del 650” anniversario delia nascita del Boccaccio è stata organizzata a Certaldo, nel Palazzo Pretorio, una rara mostra dell'arte della Valdelsa.

Fra le « personali » vanno ricordate anche le mostre della pittura di Le Corbusier a Firenze e della pittura di Matta a Bologna, ordinate in primavera.

G. Veronesi

XXIX