Forma e Funzione

Nel campo specifico dell’architettura il termine « funzionale » indica, come è noto, più frequentemente la rispondenza meccanica della costruzione a determinate esigenze pratiche (individuali e collettive) controllabili secondo raziocinio (o facoltà di ragionare) e seguendo concetti economici, strutturali, organizzativi e così via.

Per cui — ad esempio — un appartamento è stato ed è considerato « razionale » o « funzionale » quando sia realizzato in 44

pochi metri quadri di superficie ed organizzato in modo da consentire agli ospiti il minimo dispendio di gesti, di passi, di spostamenti per raggiungere quel che ad essi serve praticamente, economizzando al massimo energie e tempo (o credendo di economizzarli).

Seguendo questi intendimenti di funzionalità il progettista si preoccupa principalmente della organizzazione modulare dello edificio, della unificazione delle sue strutture, della ripetizione in serie dei suoi elementi compositivi, del fattore economico in senso « scientifico » oltre che della disposizione logica degli apparecchi e degli strumenti necessari al funzionamento della «machine à habiter». All’uomo, all’ospite cioè, è fatto un costante riferimento quale « misura fisica » immutabile, sulla quale si dimensiona l’oggetto.

Il risultato cui spesso porta questo procedimento si concreta in costruzioni statiche,

indifferenti nella loro forma -— e per forma intendo l’organismo architettonico nei suoi rapporti, appunto con l’ambiente umano naturale o storico nel quale esse sorgono.

Né gli « ospiti » hanno alcuna possibilità di intervento per apportarvi la minima variazione e debbono adattarsi (o, se si vuole, debbono « educarsi ») a quel particolare modo di vita «scientificamente» predisposto.

Un altro concetto di « funzione » e « funzionalità » non esclude il primo, ma lo subordina ad una più aperta e complessa corrispondenza fra la costruzione e gli ospiti: ad una più intima (od interiore) relazione. Per cui l’oggetto, la costruzione cioè, non si modella sul programma di una « organizzazione scientifica », ma nasce da una simbiosi, da una durevole collaborazione, da uno scambio di suggerimenti fra l’ospite e l’oggetto; per cui i muri tendono a modellarsi sulle esigenze umane e gli uomini, valutando i limiti di possibilità che hanno i muri di rispondere a quelle loro esigenze, accettano le forme conseguenti utilizzandole, adattandole via via a sé stessi ed adattandovisi con cordiale partecipazione.

L’architetto che segua questi intendimenti non si preoccupa tanto di una ricerca formale o tecnologica, quanto di creare oggetti, vani, spazi che accolgano gli ospiti e li sollecitino a scoprire in sé stessi o chiarire esigenze e situazioni di cui prima non avevano piena coscienza.

Evidentemente i due intendimenti portano a risultati molto diversi tra loro. Seguendo questo ultimo orientamento, la forma come già detto è il « risultato » di una costante attenzione rivolta principalmente ai fatti umani, una costante ricerca di modellarsi (di modellare l’organismo architettonico, cioè) sui fatti stessi, pur tenendo conto dei mezzi tecnici che il nostro tempo offre.

Per qualunque costruzione alla quale ci si riferisca (casa, banca, chiesa, mercato) il ragionamento non cambia.

La forma di una banca, ad esempio, sarà ben diversa se si considera l’edificio come una « cassaforte » da difendere da ipotetici

Chiesa di San Marino G. Michelucci, architetto La Chiesa nasce all'inizio di un grosso « borgo » di San Marino (Borgo Maggiore) ed è situata fra due strade a quota diversa. La con orinazione di questa costruzione è determinata dai fatto che il suo interno è penetrato da un passaggio pubblico che collega le due strade ed offre due zone coperte pubbliche (o cittadine) dove la gente può sostare per attendere l'autobus o per godere la vista del bellissimo panorama del Montefeltro, o per conversare senza essere obbligato ad entrare nella chiesa vera e propria.

Gli altari sono disposti a tre quote diverse.

Il Battistero è prossimo all'ingresso superiore.

La preoccupazione massima che ho avuto studiando l'edificio è stata quella di consentire ai fedeli la possibilità di scegliersi il posto più gradito, che meglio risponda alla loro condizione spirituale e psicologica.

I fedeli (come ogni altro ospite) possono così circolare, sostare in zone appartate o in quelle di maggiore affluenza.

I muri sono modellati su tale possibilità, e la forma è conseguente, non pensata a priori, non coattiva (che non agisce cioè sull'anima dell'ospite per determinare in lui un « momento » mistico) ma lascia libero il suo spirito pur sollecitandolo al pensiero. I materiali sono poverissimi: la costruzione infatti è dì mattoni forati e intonacati a calce. La struttura statica è elementare, costituita da due portali di cemento, ad arco. Il pavimento è di mattoni; gli altari sono di cemento.

Photos: Maud Krafft et F. Barsotti

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assalti; o se si considera invece un « servizio » pubblico indispensabile alle città e nella cui sede s’incontrano degli uomini (dei cittadini) che hanno interesse ad uno scambio di idee e ad una collaborazione.

Nel primo caso la forma sarà chiusa, segreta, estranea all’organismo cittadino ed alla sua vita; nel secondo sarà, al contrario, aperta alla città, compenetrata dalla tessitura generale, collegata agli interessi che hanno generato l’organismo urbano.

Così dicasi di una chiesa, la quale sarà diversa nella sua forma architettonica se considerata come espressione di una istituzione gelosamente difesa dalle esterne influenze e da ogni contaminazione della vita che si svolge oltre i suoi muri, o se si considera invece luogo di incontro fra gli uomini che si riconoscono nel Cristo, quale « ecclesia » non timorosa di quelle contaminazioni stesse perché non contaminabile. Nei due casi la pianta, le sezioni (e quindi la « forma » appunto) saranno diversissime.

È da notare che il primo modo di interpretare la funzionalità porta a soluzioni soggette a scadere sollecitamente, a rivelarsi rapidamente inadeguate perché quella organizzazione « scientifica » non tollera variazioni di sorta: tutto è stato studiato e realizzato su di un modulo ed un modello che risultano fatalmente immutabili. Dato che la vita cambia nei suoi aspetti, nelle sue esigenze e possibilità ed umori, la risposta a tali cambiamenti non richiede tanto il perfezionamento tecnologico o un più grande numero di strumenti ed apparecchiature atti a soddisfare una maggiore richiesta di comodità pratiche, quanto la possibilità negli organismi architettonici di variare nella loro struttura muraria generale e particolare. Volendo tirare le conclusioni da queste premesse e da queste considerazioni si può dire che la forma risultante dalla prima interpretazione non è « funzionale » tanto quanto può esserlo la seconda che più soddisfa umanamente e serve gli uomini nelle loro intime esigenze, 46

divenendo così storia (storia degli uomini nel tempo), sintetizzata nelle forme le quali si assoggettano ad avvicendamenti e mutamenti ed a distruggersi e costruirsi o ricostruirsi senza posa. Le città, d’altra parte, che abbiamo sempre sotto gli occhi, nelle quali viviamo, possono additarci la via da seguire e più ancora la libertà con cui si deve operare per conquistare e dare un senso veramente attuale alle forme architettoniche ed urbane. Basta tener presente che la misura del tempo è cambiata e che quel che avveniva prima in un secolo può avvenire oggi in un anno.

Ogni volta, ad esempio, che nelle città antiche era stata costruita una nuova recinzione di mura e di fortificazioni, la struttura che si delineava raggiungeva una sua compiutezza che pareva non doversi più modificare; perché dentro quei recinti che davano garanzia di difesa, si erano modellati degli organismi che potevano definirsi « opere d’arte », se per opera d’arte urbanistica s’intenda quella forma che non è il frutto di una ricerca astratta o di un gusto particolare, ma quella invece nella quale i tanti interessi dei cittadini, come obbedendo ad una legge naturale e insopprimibile di equilibrio, precisano via

via il loro limite, la loro condizione o natura, la soggezione alla forma stessa, senza sacrificare nulla della loro individualità.

Questi organismi bastavano a sé stessi: anche perché le popolazioni, che fino dalle epoche più lontane si erano insediate su quello stesso territorio per ragioni commerciali o di difesa o religiose, li avevano arricchiti di esperienza funzionale e di considerazione umana.

Ma le mura e le fortificazioni che costringevano nel loro perimetro quella struttura urbana che pareva definitiva, furono poi rese inutili dal determinarsi di nuove condizioni sociali e dalle mutate esigenze spirituali dei tempi nuovi. Allora esse rappresentarono il passato, la storia del dramma vissuto dalle città e quindi dagli uomini nelle città. E se per qualche tempo i cittadini restarono soggetti dentro quel perimetro, escogitarono intanto i mezzi per adattare ai nuovi bisogni quel che già esisteva; e seguendo la trama di un piano predisposto dalle autorità e dai tecnici, o una logica elementare, tracciarono od ampliarono le strade, costruirono nuove piazze ai margini delle mura per far fronte agli scambi commerciali ch’essi stabilivano via via con altri centri; demolirono le

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vecchie case per costruirne delle nuove.

La forma, cioè, che pareva aver raggiunto una compiutezza, stava invece mutandosi.

Così « l’Opéra d’Arte Corale » che era la testimonianza della vitalità delle generazioni che si susseguivano nella città stessa, si disgregava e si ricostituiva in una perenne trasformazione, in un seguito di forme che pur sembrando in antitesi fra loro erano invece tutte compenetrate l’una dell’altra.

Non era appunto una esigenza meramente estetica a suggerire una forma; la popolazione non aveva tanto la consapevolezza della nascita di un’opera d’arte quanto di un linguaggio appropriato al proprio pensiero. Non esisteva il problema della forma, ma soltanto quello dei mezzi per realizzare l’opera desiderata ed indispensabile; giacché la forma era in potenza, negli animi ansiosi di precisarla nelle cose materialmente e spiritualmente necessarie.

Ora la città antica e le costruzioni singole non possono essere degli esempi da riproporre oggi, ma esse vogliono comunque indicare — come ho già detto — una via da seguire per conquistare nuove forme architettoniche ed urbanistiche che possono definirsi « spaziali » non per una loro

dinamicità fisica, ma per la loro stretta aderenza ad una vita che è in continuo divenire, e per quanto di « futuro » hanno in sé stesse.

Così i concetti di forma e di funzione acquistano oggi un senso nuovo, quasi ineffabile, perché soggette ad assumere una dimensione ed una dinamicità che esclude ogni schema, come esclude ogni previsione aprioristica basata su preferenziali rapporti geometrici, su individuali ricerche estetiche o tecnologiche.

La forma della città nuova non sarà quindi l’espressione del tale o del talaltro architetto, ma la storia di un tempo e di un popolo che via via individua, nella incessante ricerca di una risposta al perché delle cose, nuove istanze ed esigenze, e quindi nuove funzioni alle quali deve rispondere, sollecitato così ad una creatività quotidiana.

Alla tecnica spettano nuovi ed importanti compiti. L’era del cemento armato ha raggiunto forse il suo punto culminante; forse occorre scoprire o trovare ed utilizzare nuove materie, nuovi metodi costruttivi; superare i concetti economici attuali per costruire degli organismi rispondenti ad una accresciuta esigenza di movimento, ad un sentimento più « nomade » delle

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popolazioni, e per rispondere anche alla esigenza, che già si annuncia fra le popolazioni, di partecipare individualmente e collettivamente alla costruzione della propria dimora, alla forma cioè della propria città.

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