Mi. Morandi Itoma

Fortnc e Funzione

È difficile definire, in un linguaggio intelligibile a tutti, la vera natura di una intera vita di lavoro senza ricorrere alla convenzione delle parole per iniziati, queste spesso artatamente fumose.

Sarei tentato di affermare che per 35 anni ho professato una continua traslazione in termini operativi di programmi per varie necessità umane: di abitazione, di produzione, di comunicazione e quindi ho evitato di usare le convenzionali parole di ingegnere o di architetto.

Mi sono accorto molto presto che la funzione del traduttore in linguaggio operativo, direttamente da quello dettato dalle necessità umane o attraverso una prima articolazione dell’impostazione funzionale e formale (l’idea architettonica), è di importanza fondamentale nei riguardi del risultato finale. Questo soprattutto in termini di trascendenza rispetto alle tanto conclamate esigenze della tecnica e della tecnologia moderna.

È tutta su questa trascendenza che è imperniata l’evoluzione di un uomo che, dopo essersi sufficientemente appropriato dei mezzi del calcolo statico e della maniera di adoperare la tecnologia del materiale, si accorge che quello e questa possono essere agevolmente coatti e condizionati ad una libera scelta, questa dettata da un suo sentimento.

In altri termini cadono tutte le artificiali differenze tra l’artista (l’architetto) ed il tecnico (l’ingegnere); ambedue erroneamente ristretti in mondi diversi e con diverse funzioni.

E quando essi intendono rimanere differenziati significa che esistono in ambedue carenze culturali e di sensibilità, queste spesso derivanti da errate impostazioni delle scuole dalle quali provengono.

Dopo la mia preparazione scolastica, della quale soltanto ora apprezzo compiutamente la pessima e dannosa impostazione, ho iniziato a fare calcoli statici, a fare il calcolatore (come si diceva una volta), cioè il traduttore in termini operativi di una impostazione altrui, senza inserire alcuna interpretazione critica se non 48

quella della correzione di dettaglio di fronte alle esigenze statiche specifiche.

In tale fase della mia vita di lavoro che ha occupato parecchi anni, che oggi riconosco utili solo come preparazione per la formazione di una sensibilità individuale convenientemente fondata su una piuttosto vasta esperienza tecnica e tecnologica, ho raggiunto una vera e propria carica di ribellione nel sentirmi legato all’interpretazione dell’idea altrui e mi sono sentito pronto ad affrontare un processo di elaborazione integrale della risoluzione del tema, dai presupposti alla progettazione dei dettagli costruttivi.

Questa attualmente è la mia posizione dalla quale derivano tutta la mia forza ed ovviamente tutti i miei limiti.

Quale la forza e quali i limiti?

La forza è quella di poter concepire la soluzione di un tema con una completa chiaroveggenza delle difficoltà statiche da dover superare senza l’aiuto di alcuno (se, come quasi sempre, si tratta di temi in cui la componente statica è di notevole importanza).

Tale chiaroveggenza crea forse l’immediata corretta impostazione ma contemporaneamente frena (ed ecco i limiti) l’immaginazione e conduce a semplificazioni ed a schematizzazioni qualche volta eccessive.

Questa è la ragione del mio lento ingresso nel campo della conquista formale che spesso si è più affidata all’affinamento compositivo di elementi già sperimentati che non alla rivoluzionaria scoperta di strade nuove. Quest’ultima appannaggio

di elementi ben più dotati di quello che io ritengo di essere.

Ho dovuto quindi far precedere tutto questo preambolo ad una sia pur sommaria indagine su alcune mie opere, per tentare di definire la mia posizione nel campo della progettazione del mio tempo.

Una vasta produzione (alcune migliaia di opere, grandi e piccole, molte delle quali semplici applicazioni tecniche senza pretese), una quasi maniaca aspirazione alla coerenza e soprattutto un lungo e mai stanco amore alla ricerca formale più approfondita attraverso la risoluzione di temi simili, sempre più elaborata e mai ripetuta integralmente, anche se appartenente ad una stessa frase del linguaggio statico e funzionale.

Attraverso esperienze successive una ricerca di eliminazione di errori, reali o ritenuti tali, di imperfezioni sintattiche, alla ricerca di una politezza in cui il perfezionamento è ricercato attraverso tentativi della risoluzione statica.

Ed è questa forse la ragione per cui in me è apparsa illuminante la scoperta (perchè per un ingegnere è una scoperta) che il calcolo non conduce mai alla risoluzione di un tema, ma serve esclusivamente alla verifica tra plurarità di risultati, tutti, entro ampi limiti, equivalenti.

Per dare l'idea di quanto questa scoperta della vastità del campo di scelta sia di difficile acquisizione, ricordo che da una Illustrazione della Scienza delle Costruzioni, a cui esponevo le mie perplessità circa il pericolo di limitazione della scelta

ad opera di nuove e peraltro assai putative teorie sul calcolo statico (il cosiddetto limit design), ho ottenuto la sbalorditiva risposta che è un bene se la Scienza riuscirà a dare un’unica ed una sola risposta ad ogni quesito. — L’Illustrazione, con la tipica deformazione dello scienziato, si augurava quindi di distruggere la più grande aspirazione dell’uomo, la scelta dipendente dalla sua sensibilità personale.

Quando sento certe assurdità, deploro che la formazione dei giovani possa essere influenzata da certe mentalità in fondo ancora attaccate ad ideali positivisti, assolutamente superati.

È ovvio quindi che dopo un’intera vita di lavoro abbia sentito anch’io l’istanza propria dell’età matura di instaurare un colloquio con i giovani, al difuori del

ristretto campo dello studio professionale, e pertanto l’Università ha accolto il mio desiderio e mi ha dato la possibilità di uno scambio di idee dal quale ho tratto maggiore consapevolezza e forza.

Vorrei tanto che i miei allievi sapessero quanto è stato grande il loro apporto all’evoluzione che tutti hanno riscontrato in me in questi ultimi anni. Mi auguro, ed in tal caso la mia coscienza sarebbe tranquilla, di aver dato a loro tanto quanto essi hanno dato a me.

Cosa m’aspetto dal futuro?

Qualche volta mi colgo ad obliterare la mia età, a ritenere che mi attenda ancora un lungo periodo di lavoro e soprattutto a sognare il capolavoro, che forse non giungerà mai, ma che mi fa sentire ancora vivo e costantemente proiettato nel futuro.

Quello che ho fatto per me conta ben poco rispetto a quello che mi illudo ancora di poter fare.

Mi si lasci questa illusione in fondo innocua e della quale sarò io solo a pagarne l’eventuale inanità.

Adesso dovrei passare ad illustrare e commentare qualche mia opera più recente tra quelle che considero le più significative.

Ho il dubbio però di non esserne capace e che loro stesse siano sufficientemente espressive; mi limiterò perciò ad elencare la loro ragione funzionale ed a riportarne qualche dato tecnico.

legati alla loro base dal sistema delle tubazioni per il trasporto dei fumi della combustione alla ciminiere dell’altezza di novanta metri.

— L’edificio per i silos del carbone.

— L’edificio della sala macchine.

— L’edificio per i quadri ed i servizi.

Questi tre ultimi edifici, totalmente in calcestruzzo armato, presentano all’interno ed all’esterno in vista tutte le strutture che determinano una ricerca di espressività formale, compatibile con la loro funzione

di sorreggere tutti i macchinari e le attrezzature, nella loro reciproca posizione imposta dalle esigenze tecnologiche dello impianto.

Le pareti sono rivestite da una cortina di mattoni eseguiti a mano provenienti dal greto dell’Arno nei pressi di Pisa, con la conseguente impostazione cromatica rossoluna tipica e ben nota di questa città, attentamente composta con il colore delle strutture di calcestruzzo.

Centrale Termoelettrica di Livorno (Italia):

È stata testé ultimata la costruzione in Livorno di una centrale termoelettrica della potenza di circa 400 000 chilowatt.

11 complesso è articolato sulla composizione di quattro volumi fondamentali e cioè: — I due edifici delle caldaie la cui ossatura portante è determinata dalle caldaie stesse, protette da un leggero rivestimento di lastre di cemento - amianto ondulato. — Questi due volumi parallelepipedi, della altezza di circa cinquanta metri, risultano

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Viadotto sul Polcevera a Genova ( Italia )

Il viadotto sul Polcevera a Genova (Italia) rappresenta l’elemento di connessione tra due delle più importanti autostrade italiane: la Savona-Genova e la GenovaValle del Po.

Il grande viadotto risulta della lunghezza totale di mi. 1100 e le campate, a partire dall’innesto con la Genova-Valle del Po, presentano la seguente successione: tre grandi campate aventi luci rispettivamente di mi. 202,50 - 210,00 e 140,00; sei campate con luci teoriche di mi. 70,00 ciascuna; una luce terminale di mi. 52,50.

11 complesso del viadotto è stato risolto in modo che gli appoggi risultino nelle posizioni consentite dalla topografia locale, in una zona di intensa edificazione, interessata inoltre da ampi parchi ferroviari, da strade, dal corso del torrente Polcevera, da stabilimenti industriali, ecc.

a) Campate maggiori:

La prima delle tre grandi luci sorpassa il parco ferroviario del Campasso, la seconda l’adiacente parco ferroviario di Piazza d’Armi e la terza il torrente Polcevera.

La soluzione adottata ripete, nelle sue grandi linee, il tema precedentemente risolto nella realizzazione delle luci maggiori del ponte sul lago di Maracaibo (Venezuela), già ultimato ed inaugurato nell’estate 1962.

Gli attraversamenti sono così risolti per mezzo di un complesso di speciali sistemi bilanciati, in cui la travata è costituita da un sistema continuo a tre luci su quattro appoggi elastici, e da due sbalzi terminali, sulle estremità dei quali grava, semplicemente appoggiata, la trave prefabbricata che determina la continuità di transito fra i vari sistemi bilanciati.

I due appoggi estremi di ciascuna travata sono costituiti dai terminali di due tiranti in acciaio pretesi, che passano al disopra di un’antenna a quattro elementi obliqui, alta mt. 42,25 al disopra del piano viabile.

Ciascuna grande pila insiste su una zattera di calcestruzzo armato, poggiata su palificate fondali.

Al disopra delle zattere si dipartono due sistemi statici distinti, simmetrici rispetto ad un comune piano assiale, e cioè: — uno speciale cavalletto di calcestruzzo armato a V composto di quattro elementi paralleli, a due braccia, collegati fra loro, sia a metà altezza sia al piano dell’impalcato, per mezzo di traversi normali all’asse del viadotto, — un sistema di antenne a quattro gambe, a forma troncopiramidale, con travi di collegamento longitudinale al piano di impalcato e con un trasverso in sommità.

L’impalcato è costituito da una travata continua di tipo cellulare, con una soletta estradossale, una intradossale e n° 6 pareti verticali.

Le estremità delle travate presentano un robusto trasverso, sporgente dalle pareti esterne con sbalzi, ai quali risultano assicurati i già citati tiranti che poggiano sulla sommità dell’antenna e sono costituiti da

fasci di acciaio armonico coinvolti da una guaina di calcestruzzo.

Fra le estremità delle parti a sbalzo di due travate bilanciate consecutive sarà varata infine una travata della luce di mt. 36,00, semplicemente appoggiata, mediante l’interposizione di apparecchi oscillanti di forma normale.

I tre grandi sistemi bilanciati cosi risultanti sono indipendenti l’uno dall’altro e quindi non vengono indotte sollecitazioni nella struttura per eventuali assestamenti disuniformi delle fondazioni.

b) Campate minori:

La seconda parte del viadotto (sei luci da mi. 70) è costituita da una serie di speciali pile a V, composte ciascuna da quattro doppi pilastri a sezione variabile, collegati a metà altezza ed in sommità da traversi, e poggianti su zattere di fondazione, fondate ugualmente su palificate.

L’estremità superiore dei pilastri a V sopporta una trave della lunghezza di mi.

20,00 che si protende a sbalzo al difuori dei pilastri stessi per mi. 7,50 da ciascun lato.

Tutte le strutture sopra descritte sono in calcestruzzo normale o precompresso; in particolare la precompressione viene adottata per una parte delle travi di impalcato delle grandi pile e per i relativi grandi cavi di sostegno, nonché per tutte le travate indipendenti interposte fra le pile.

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Progetto per il concorso dello Stadio di Monaco di Baviera (Germania):

Nel 1964 il Comune di Monaco di Baviera ha bandito un concorso per il progetto di uno stadio olimpico della capienza di 90 000 spettatori dei quali 40 000 allo scoperto e 50 000 al coperto.

Il progetto, che non è stato classificato tra i primi ma ha fruito soltanto di un premio d’acquisto, è stato elaborato sull’idea fondamentale che la struttura di impianto fosse immediatamente leggibile all’esterno con una conseguente trasparenza del sistema funzionale.

Gli elementi inclinati con la terminale « bocca di coccodrillo » (come è stata da taluni definita) sono di calcestruzzo precompresso.

Ponte sul Columbia River in Canada:

Il ponte De Kimaid sul Columbia River (Canada, Columbia Britannica), testé ultimato, rappresenta l’ulteriore elaborazione di un tema già trattato in altre realizzazioni.

Consta di 5 luci: 3 dell’ampiezza di mi. 80,00 e due di mi. 72,50.

L’opera, con impalcato di calcestruzzo precompresso, è stata inserita con attenta

cura in un paesaggio montano di rara bellezza, al disopra di un fiume a corso torrentizio con variazioni di livello di più di dieci metri che hanno consigliato di ridurre al minimo l’ingombro delle pile entro l’alveo.

Tale esigenza e la notevole altezza del piano stradale (mi. 67,00) rispetto al fondo del fiume, hanno determinata una risoluzione formale tipica e di notevole impegno.

Progetto per il ponte sul Wadi el Kuff (Libia) :

Il ponte sul Wadi el Kuff apparterrà alla nuova strada che unirà le città di Bengasi e di Derna (Libia).

L’opera, tutta di calcestruzzo, con una campata centrale di mi. 286,00, rappresenta una ulteriore elaborazione dei concetti già impostati con i precedenti ponte di Maracaibo e viadotto del Polcevera.

La sede stradale scavalca il fondo del vallone ad una altezza di più di 150 metri ed il progetto presenta il grande vantaggio di concludersi in un unico episodio compositivo, contenuto entro due splendide pareti di roccia grigio rosata, ornate da una vegetazione di sempreverdi.